Raffaello Sanzio - Vita e Opere

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    Raffaello Ritratto di Fedra Inghirami

    1514-1516 ca. - olio su tavola - 90x62 cm - Firenze, Galleria Palatina


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    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:56
     
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    Raffaello Trionfo di Galatea

    1511 ca. - Affresco - 295x225 cm - Roma, Villa Farnesina



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    L'affresco mostra l'apoteosi della ninfa che cavalca un cocchio a forma di capasanta trainato da due delfini, circondata da un festoso corteo di divinità marine (tritoni e nereidi) e vigilata, in cielo, da tre amorini che stanno per scagliare dardi amorosi contro di lei.
    Un quarto putto, a cui è rivolto il casto sguardo di Galatea, tiene un fascio di frecce nascosto dietro una nuvola, a simboleggiare la castità dell'amore platonico.
    Il movimento del manto gonfiato dal vento, accompagnato da quello dei capelli, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre è rapita da un tritone.Galatea in greco significa: "lei che ha la pelle bianco-latte".
    Galatea è una figura della mitologia greca, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di Nereo e di Doride, la cui abituale residenza è in fondo all’oceano, con il padre e che hanno il compito di assistere i marinai.
    Il mito narra che Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che il ciclope Polifemo, invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse cercato di attirarla con il suono del suo flauto (simbolo di lussuria).
    Non essendo riuscito nel suo intento, sorpresa la coppia di amanti, scagliò infuriato un enorme masso che raggiunse, uccidendolo, Aci.
    Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea, per tenere in vita il suo amore, trasformò il sangue di Aci in una sorgente e lui stesso divenne un dio fluviale.


    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:57
     
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    Raffaello Estasi di Santa Cecilia

    1514 - olio su tavola trasportata su tela - 236x149 cm - Bologna, Pinacoteca Nazionale

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    La pala fu dipinta per la cappella di Elena Duglioli dall’Olio in San Giovanni in Monte a Bologna. Anche in questo caso Raffaello è un grande interprete di un tema iconografico che avrà grande fortuna nel secolo successivo, quello dell’estasi, ossia dell’”effetto” che il contatto con il divino provoca nell’animo del santo. Nel dipinto non viene rappresentata la divinità ma cinque santi che interiorizzano, ciascuno secondo il proprio carattere, la propria esperienza mistica. Santa Cecilia volge lo sguardo al coro angelico, rapita dalla visione mistica: di fronte a questa musica celestiale e divina Cecilia, che era musicista, si rende conto dell’inutilità della musica terrena e getta a terra i suoi strumenti musicali. Magnifica la natura morta di strumenti in primo piano realizzata forse da un allievo di Raffaello, Giovanni da Udine, specializzato nel genere.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:58
     
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    Raffaello Madonna Sistina

    1513-1514 ca. - olio su tela - 265x196 cm - Dresda, Gemäldegalerie



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    Dettaglio
    Raphael-cherubini



    Insolito per Raffaello in quegli anni è il supporto su tela, che ha dato adito a varie ipotesi: secondo Rumohr l'opera era destinata anche ad essere usata come stendardo processionale. La datazione si basa su dati stilistici ed è in genere legata ai primi anni del pontificato di Leone X, prima dell'Estasi di santa Cecilia.
    Vasari testimonia come l'opera fosse stata dipinta per il convento di San Sisto a Piacenza, come conferma la presenza di due santi particolarmente venerati.
    Un'altra ipotesi, meno seguita, è quella che vuole il dipinto eseguito per la tomba di Giulio II, come farebbero pensare i santi Sisto, protettore di Sisto IV e quindi dei della Rovere, e Barbara, confortatrice nell'estrema ora, e i due angioletti spiegati come genietti funerari. Esiste anche una tradizione tardo-settecentesca (dal monaco locale Oddone Ferrari in poi) che vuole la tela acquistata dai monaci piacentini dalla vendita dei beni di papa Giulio dopo la sua morte. In realtà sono ben noti i progetti michelangioleschi richiesti dal papa e dai suoi eredi per la sepoltura del pontefice, e in nessuno di questi si parla dell'inserimento di un'ancona.
    Secondo la stessa testimonianza settecentesca la Madonna avrebbe le sembianze della Fornarina, il papa quelle di Giulio II (con le ghiande roveresche ricamate sul piviale) e santa Barbara quelle di sua nipote Giulia Orsini. La somiglianza col papa venne confermata da Cavalcaselle, Stüber e Filippini, mentre per santa Barbara venne fatto anche il nome di Lucrezia Della Rovere, altra nipote del pontefice.
    L'ipotesi più seguita dalla critica moderna è quella del Putscher (1955), che lega il dipinto alla sede piacentina fin dalle sue origini, che era costruita in quegli stessi anni, e dove doveva simulare una finta finestra al centro dell'abside. Altri hanno invece ipotizzato che fosse destinata all'altare maggiore.
    Il dipinto venne ceduto nel 1754 ad Augusto III di Sassonia, che offrì anche una copia di Giuseppe Nogari da collocare nella sede originaria. Nel secondo dopoguerra fu trafugato e trasferito a Mosca, ma successivamente fece ritorno a Dresda.
    La Madonna Sistina è uno dei dipinti più ammirati, citati e studiati da filosofi e poeti. Dostoevskij la menzionò nei Demoni, dove Stepan Trofimovitch è incapace di spiegare la profondità che vede nel dipinto. A Vasilij Grossman ispirò il racconto della Madonna di Treblinka.

    Una tenda verde scostata (di cui si vedono in alto i passanti su un'asta leggermente inclinata) rivela una stupefacente epifania mariana, tra i santi Sisto papa e Barbara (riconoscibile per la torre). Maria infatti, a tutta figura, appare discendente da un letto di nubi (composte da una miriade di teste di cherubini) e, col Bambino in braccio, mentre guarda direttamente verso lo spettatore. Il moto, più che dalla disposizione delle membra, è suggerito dalla caduta delle pieghe della veste, mosse come da un venticello. Anche i due santi accentuano, coi loro gesti, il momento teatrale indicando e guardando verso l'esterno, come se fosse presente un'invisibile folla di fedeli. In basso, il bordo inferiore è trattato come un vero parapetto, dove san Sisto ha appoggiato il triregno e, al centro, si affacciano due squisiti angioletti pensosi, tra le realizzazioni più popolari del Sanzio e della cultura figurativa del Rinascimento in generale, spesso riprodotti come soggetto indipendente.
    Non ha precedenti il rapporto così diretto e teatrale tra la divinità e il fedele, che diviene a pieno diritto un elemento fondamentale della rappresentazione, alla cui presenza alludono in maniera esplicita i santi. Tutt'al più gli artisti si erano limitati a rappresentare una o più figure riguardanti lo spettatore, che richiamassero la sua attenzione indicando magari il centro della scena. Maria diventa quindi l'interceditrice, con i santi che fanno da mediatori, attraverso una catena di sguardi circolare. Non si tratta quindi di una visione del divino da parte dei devoti, ma del divino che appare e va verso i devoti. Il Bambino è come offerto alla devozione, prefigurando anche il suo sacrificio per la salvezza dell'umanità.
    Il taglio moderno è sottolineato anche dall'assenza delle aureole, nonché dalla veste semplice, priva di ornamenti, di Maria, che incede scalza, ma circondata dalla luce. L'umanizzazione della divinità è riscattata dalla bellezza sovrannaturale di rara perfezione e dai sentimenti adulatori che circondano la sua apparizione.
    I colori dominanti sono intonati a una tavolozza fredda, ravvivata qua e là da zone di giallo e di rosso.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:59
     
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    Raffaello Autoritratto con amico

    1518 ca. - olio su tela - 99x83 cm - Parigi, Louvre


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    In questo ritratto il personaggio sul fondo con lo sguardo rivolto verso lo spettatore è Raffaello, mentre ci sono diverse proposte per l’identificazione dell’uomo raffigurato in primo piano, che si volge con gli occhi al maestro e indica con la mano qualcuno fuori del quadro. Sicuramente deve trattarsi di una persona vicina a Raffaello, che appoggia amichevolmente la mano sulla sua spalla: si è pensato a un allievo, ma anche al maestro di scherma dell’urbinate, per la presenza dell’elsa di una spada in primo piano, e all’amico Giovanni Battista Branconio: questi da Raffaello si fece costruire il palazzo romano, vicinissimo a San Pietro, intorno al 1518 che sembra la data probabile del ritratto.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:59
     
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    Raffaello La Velata

    1516 ca. - olio su tavola - 85x64 cm - Firenze, Galleria Palatina


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    Secondo la testimonianza del Vasari, il ritratto raffigura Margherita Luti, la donna amata da Raffaello, più nota come la Fornarina, la quale fece da modella anche per la Madonna Sistina. Il ritratto già nel Cinquecento si trovava a Firenze nella casa del ricco mercante Matteo Botti e in casa Botti rimase fino al 1615 quando passò alle collezioni medicee. Il ritratto è conosciuto come la Velata, a causa del manto che copre la testa della giovane donna. Scompare ogni notazione di carattere paesaggistico e l’attenzione si focalizza sulla figura umana e sulla descrizione minuziosa della ricchissima veste.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 17:00
     
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    Raffaello La Fornarina

    1518-1519 ca. - olio su tavola - 85x60 cm - Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica


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    Citata per la prima volta dal Corasduz che la vede nella collezione Sforza di Santafiora, come "una donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura di Raffaele"; poi notato dal Chigi nella collezione Boncompagni, dai quali fu acquistato dai Barberini, è citato negli inventari Barberini dal 1642.
    Il dipinto è il ritratto della donna amata da Raffaello, raffigurata anche nella Velata di Palazzo Pitti, descritta dal Vasari e identificata in numerosi dipinti raffaelleschi. Il personaggio è al centro del mito romantico che nell'Ottocento ha dato origine alla ricostruzione pseudo-storica della figura della musa-amante del pittore e che portò all'identificazione, per altro non storicamente provata, dell'amata di Raffaello con Margherita Luti, figlia di Francesco Senese, entrata subito dopo la morte di Raffaello nel convento di Sant'Apollonia. Il dipinto, databile intorno al 1520, anno della morte di Raffaello, rimase probabilmente nello studio del pittore e fu rimaneggiato e venduto dall'allievo ed erede Giulio Romano.
    La presenza della mano di Giulio Romano è alternativamente sottolineata o minimizzata dalla critica, analisi radiografiche hanno comunque individuato due sucessive stesure del dipinto che aveva come sfondo un paesaggi leonardesco anziché il cespuglio di mirto, sacro a Venere.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 17:01
     
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    Raffaello Visione di Ezechiele

    1516-1518 ca. - olio su tavola - 40,7x29,5 cm - Firenze, Galleria Palatina



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    Raffaello Sanzio dipinge la Visione di Ezechiele tra il 1516 ed il 1518. Lo fa con una prospettiva diversa dalle classiche rappresentazioni dell’epoca. L'impostazione del dipinto è leggera e non inserisce al suo interno un riferimento prospettico classico. Pochi sono i soggetti che possono dare un riferimento dimensionale, un metro di misura, uno di questi è un albero inserito in una riva di mare o di lago.
    E’ un’opera realizzata con olio su tavola di piccole dimensioni, circa 40 per 30 centimetri ed è conservato alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
    Fu in un primo momento attribuita a Giulio Romano su disegno di Raffaello ma successivamente attribuita a pieno titolo allo stesso maestro.
    Vasari la descrive così: "un Cristo a uso di Giove in cielo e d’attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiel; uno a guisa di uomo e l’altro di leone e quello d’aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non meno raro e bello nella sua piccolezza che sieno l’altre cose sue nelle grandezze loro".
    Leggendariamente ispirata nella composizione da un rilievo su un sarcofago romano con il Giudizio di Paride a villa Medici, l’opera vuole la visione del tetramorfo da cui derivano i simboli dei quattro Evangelisti. Ezechiele, il profeta, è rappresentato minimamente sulla lingua di terra investito da un raggio di luce che traspare dalle nuvole. Essi volle rappresentare la sfolgorante apparizione nel cielo di Dio.
    Due putti che gli reggono le braccia distese e l'angelo di san Matteo. Sotto il leone alato di san Marco, il bue anch’esso alato di san Luca e l'aquila di san Giovanni.
    La luce del dipinto proviene da una schiera impressionante di cherubini che si confondono dissolvendosi con le nubi ed illuminano alle spalle i soggetti principali.
    Nel 1984 fu eseguito un esame rifletto grafico sul dipinti. Lo stesso rivelò in primis l'alta qualità dell'opera ed il respiro grandioso della composizione. Rivelò inoltre che la pittura corrispondeva perfettamente con il disegno originario di sottofondo, fatti che portarono a confermare la rispondenza e l’attribuzione a Raffaello Sanzio.
    Recentemente un ritrovamento dello stesso capolavoro mette in dubbio l’originalità di quello custodito a Firenze. Lo stesso appartiene ad un collezionista privato veneziano. L’originale ha però una storia di collezionismo e di passaggi di proprietà con tanto di documentazione certificata, fin dalla committenza della famiglia Ercolani di Bologna a Raffaello, al dono che gli stessi Ercolani ne fecero al granduca Francesco I de' Medici, ad un inventario del 1589.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 17:21
     
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    Raffaello Trasfigurazione

    1518-1520 - olio su tavola - 405x278 cm - Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana



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    La critica moderna ha confermato il racconto del Vasari che, indicando la Trasfigurazione come ultima opera di Raffaello, aveva scritto: “Di sua mano, continuamente lavorando, (la) ridusse ad ultima perfezzione”. L’opera era stata commissionata a Raffaello nel 1517 per la cattedrale di Narbona, dal card. Giulio de’ Medici. Contestualmente era stata commissionata a Sebastiano del Piombo la Resurrezione di Lazzaro, per la stessa cattedrale.
    Alcuni critici avevano ipotizzato che la parte inferiore del dipinto fosse stata realizzata da allievi del maestro, dopo la sua morte, negli anni 1520-1522, differentemente dalla versione del Vasari.
    Possediamo, però, la documentazione di una richiesta di pagamento scritta dal Castiglione in favore di Giulio Romano il 7 maggio 1522 al cardinal Giulio de’ Medici, confermata da un ulteriore documento conservato negli archivi del convento di S.Maria Novella a Firenze, indicante un debito di 220 ducati dovuto al Pippi – soprannome di Giulio Romano – in merito all’opera in questione. Il Vogel ha fatto giustamente notare, chiudendo la questione e riaffermando così la veridicità della versione vasariana, che i soldi giunsero a Giulio Romano in qualità di erede di Raffaello e non di suo collaboratore, come è espressamente dichiarato nei due documenti.
    Degli eventi ci è testimone anche una lettera di Sebastiano del Piombo che, scrivendo a Michelangelo il 12 aprile 1520, gli comunicava: “Ho portato la mia tavola un’altra volta a Palazo con quella che ha facto Raffaello et non ho avuto vergogna”. La lettera peraltro è testimone del confronto pittorico a distanza che esisteva fra Raffaello e Michelangelo: quest’ultimo, infatti, sosteneva, come persona ispirantesi ai suoi modi, Sebastiano del Piombo.
    Con questo non vogliamo escludere la presenza di aiuti, in particolare nella parte inferiore dell’opera, ma confermare che è da attribuire interamente a Raffaello l’originalissima presentazione nella stessa tavola della Trasfigurazione in alto e della scena della dell’ossesso in basso; i due episodi appaiono l’uno di seguito all’altro nei vangeli.
    La Trasfigurazione fu realizzata tra il 1518 ed il 1520, è una grandissima tavola di circa 4 metri per 3 metri, l’episodio trattato è la trasfigurazione sul monte Tabor.
    La scena è divisa in due, in alto l’apparizione di Cristo tra Mosè ed Elia e subito sotto tre apostoli addormentati; nella parte inferiore del dipinto un altro episodio del vangelo, il giovane indemoniato.
    Nella parte superiore si vede il Cristo circondato da un’ampia luminosità, che rappresenta la trasfigurazione, egli appare sospeso, in una’atmosfera silenziosa, mentre tutti i personaggi osservano la scena abbagliati. Si vede Gesù con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto.
    Nella parte inferiore è presente un grande movimento, la folla rumorosa è improvvisamente richiamata dal miracolo.
    Si vede il ragazzo indemoniato circondato dai parenti e posto dinanzi alla Trasfigurazione, con il braccio destro indicante il miracolo.
    In un gioco di luci ed ombre i personaggi, i cui volti sono illuminati dalla luce divina, circondano il ragazzo.
    I volti appaiono sorpresi mentre i gesti donano dinamicità e movimento al dipinto.


    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 17:22
     
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  10. @Ambra@
     
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    Baldassarre Castiglione, 1514-15 - Parigi, Louvre
    Olio su tela, trasportato su tavola - 82 x 67 cm



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    Baldassarre Castiglione (1478-1529) fu un importante statista e scrittore del Rinascimento; aveva viaggiato come legato in Inghilterra e in Francia. Il suo capolavoro - Il Cortegiano, 1528 - aveva svilluppato un modello ideale per l'epoca. Di qui deriva probabilmente l'influenza esercitata da questo ritratto straordinariamente raffinato e nobile di Raffaello. L'alta qualità e la combinazione magistrale di elementi pittorici che contraddistinguono il dipinto, quali l'espressione di affetto sul volto calmo e intelligente di Castiglione, hanno fatto anche pensare che l'umanista abbia in qualche modo partecipato all'esecuzione dell'opera: in realtà è piuttosto da legare all'eccezionale affinità spirituale e comunanza d'ideali dei due
    Esso inoltre elabora degli spunti provenienti dalla pittura anteriore fino alla Gioconda di Leonardo ed è stato dipinto probabilmente a Roma dove il Castiglione soggiornòcome ambasciatore del duca di Urbino presso il papa.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 17:22
     
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  11. @Ambra@
     
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    DITTICO

    Il sogno del cavaliere, 1504 ca
    Olio su tavola, 17 x 17 cm

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    Le Tre Grazie, 1504 ca - Chantilly, Museo Condé
    Olio su tavola - 17 x 17 cm

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    Nei minuscoli dipinti si riscontra un'esecuzione accuratissima che attiene alla perfezione. Dopo quel periodo Rafafello non dipinse più miniature del genere, ma l'abilità acquisita e messa a frutto in tali dipinti (primo fra tutti San Giorgio e il drago), costituì un patrimonio che non andò perduto. La tecnica scrupolisssima e la giustizia universale, verso il grande e il piccolo, il lontano e il vicino, caratterizzeranno anche i dipinti più tardi.
    Ne Il sogno del Cavaliere, il cavaliere è Scipione l'Africano, al quale in gioventù apparvero in sogno Minerva e Venere. Minerva porge all'uomo assopito una spada e un libro; è avvolta in una veste simile a un saio e nasconde pudicamente i capelli sotto un fazzoletto. Venere, bionda e con indosso una veste più scollata, tende a Scipione un ramo fiorito. E' palese l'alternativa tra una vita virtuosa, dedicata alla guerra e allo studio, e un'esistenza votata al godimento. Sullo sfondo a sinistra si erge un castello in cima a una collina, mentre a destra il panorama degrada in una bella valle attraversata da un fiume. Tuttavia l'alberello di lauro, promessa di gloria futura, si trova esattamente al centro del dipinto. Forse l'artista intendeva affermare la conciliabilità dei due ideali?
    Anche nelle opere tarde non è raro imbattersi in messaggi indefinibili che costituiscono un rompicapo per gli iconologisti.
    Così rimane un mistero completo cosa abbiano a che fare Le tre Grazie con Il sogno del Cavaliere. I pomi d'oro che tengono in mano nel dipinto, inducono ad interpretarle come le Esperidi che donano eterna giovinezza. Ma in origine, la figura centrale appoggiava entrambe le mani sulle spalle delle compagne e quella a destra si copriva il pube nell'atto di una Venere pudica. Solo la figura a sinistra teneva in mano un pomo: era forse Venere a cui il giovane Paride ha donato il frutto come premio per la sua bellezza e le sue virtù? Anche questa resta un'ipotesi.
    I due quadri fecero parte della collezione Borghese fino al 1800, poi furono venduti separatamente.

    Edited by @Ambra@ - 11/4/2012, 11:18
     
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  12. @Ambra@
     
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    Santa Caterina d'Alessandria, 1707-08 - Londra, National Gallery
    Olio su tavola. 71 x 56 cm


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    Al termine del periodo fiorentino si colloca un dipinto per vari aspetti singolare: la figura di Santa Caterina d'Alessandria, raffigurata probabilmente per una committente dallo stesso nome. La santa si appoggia ad una ruota, l'attributo del martirio; tuttavia l'identificazione del personaggio avviene grazie allo sguardo rivolto al cielo che esprime trasporto, pia fede e disposizione alla sofferenza, tuttavia il viso con la bocca leggermente aperta offre una versione piuttosto serena nell'espressione della santa. Nella complicata torsione che interessa il tronco e gli arti, si dissolve in un'unica lieve sequenza di movimenti, il cambio di rotazione. Le pieghe della veste seguono il corpo e ne sottolineano i volumi, anticipando le figure femminili dipinte negli affreschi romani di raffaello. Sorprendentemente interessanti sono i colori del dipinto; i puri colori base rosso, azzurro, verde e giallo della maggior parte dei primi dipinti, in questo quadro appaiono cromaticamente frantumati; il giallo rosso el mantello contrasta sia col luminoso blu oltremare del cielo, che col freddo grigio violetto dell'abito. Il giallo invece brilla ancora e intenso attraverso le nubi, come la luce del cielo verso cui la santa rivolge lo sguardo.
     
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  13. @Ambra@
     
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    Ritratto di Papa Giulio II - 1512 - Londra, National Gallery
    Olio su tavola, 108 x 87 cm


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    Questo ritratto testimonia rispetto come empatia, avvicinandosi sempre più alla personalità del pontefice. L'opera rappresenta l'autoritario e bellicoso Papa della Rovere - detto il Papa terribile - nel suo ultimo anno di pontificato, con il lavoro di una vita ormai alle spalle, ma il ritratto che ne emerge non è quello di un vincitore. Giulio II guarda davanti a sè; i lineamenti sono sempre caratterizzati da forza di volontà , coraggio e nobiltà d'animo, ma sono distesi e negli occhi si annida la malinconia.
    Dopo la morte del pontefice, il dipinto fu esposto in Santa Maria del Popolo e i cittadini romani affluirono numerosissimi nella chiesa, per vedere un' ultima volta un uomo tanto ammirato e temuto.
     
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    Raffaello La Muta

    1507 - olio su tavola - 64x48 cm - Urbino, Galleria Nazionale della Marche



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    Risalente al periodo fiorentino di Raffaello e datato intorno al 1507, questo ritratto, conservato ora presso il Palazzo Ducale di Urbino, presenta il problema dell’identificazione del personaggio. Sono state formulate parecchie ipotesi (da Maddalena Strozzi Doni alla madre di Raffaello), tutte però prive di fondamento. L’analisi diagnostica ha rivelato che sotto questa immagine si trova un’altra versione di donna molto più giovane.
    Pertanto Raffaello realizzò una prima Muta assai giovanile, dai lineamenti più freschi, dall’abito più scollato. La seconda versione, invece, ci propone una donna più invecchiata nel volto e dall’abito più austero. Forse il ritratto fu modificato da Raffaello a seguito della vedovanza della donna, rappresentata per questo in modo meno idealizzato e più realistico. Ciò permette a Raffaello di accentuare l’indagine psicologica su di una figura colta nella sua semplice e riservata eleganza. Monumentalità, realismo, caratterizzazione psicologica connotano questo ritratto, ove evidente è l’influsso della Gioconda.
    L’enigmatico dipinto di Raffaello è specchio della società aristocratica del suo tempo, come denotano abito e gioielli. L’abito, in particolare, partecipa, con l’equilibrato alternarsi di tessuti, fogge e colori, alla resa degli ideali di bellezza e perfezione propri del Rinascimento.
    La veste della Muta, detta “ camurra”, in panno e velluto di diversi colori, è di una signorile semplicità ed è tipica delle donne fiorentine ed urbinati di fine Quattrocento ed inizio Cinquecento. Anche i gioielli raffigurati non si discostano dalla tradizione quattrocentesca: l’anello con rubino (simbolo di prosperità), l’anello con zaffiro (simbolo di castità), l’anello figurato con motivi vegetali, la catena con pendente a forma di croce.
    Si tratta in ogni caso di gioielli assai semplici, in linea con il clima austero della Firenze dell’epoca (basti pensare alle prediche savonaroliane). Ne deriva l’immagine di una donna matura, raffinata, elegante, ma pur sempre sobria, incarnazione di quei valori classici di compostezza ed equilibrio sempre celebrati da Raffaello.
     
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  15. @Ambra@
     
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    Sacra Famiglia sotto la quercia - 1519 - Madrid, Museo del Prado
    Olio su tavola, 144 x 110 cm

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    L'interesse di Raffaello per l'antichità classica e l'archeologia, tipico degli ultimi anni, culmina nella Sacra Famiglia sotto la quercia: la Madonna copiata da un antico cammeo si appoggia alla base marmorea di un candelabro; in primo piano a destra vediamo il basamento di una colonna del Tempio di Marte Ultore e sullo sfondo sono riconoscibili il cosidetto Tempio di Minerva Medica e un altro edificio a pianta circolare. Ovviamente tutto ciò allude al trionfo di Cristo sul mondo pagano. Il paesaggio è uno dei più belli tra quelli che si incontrano nelle opere tarde del pittore e l'orchestrazione cromatica è straordinaria.


    Edited by @Ambra@ - 1/5/2012, 23:50
     
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