Raffaello Sanzio - Vita e Opere

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    RAFFAELLO



    Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano.
    Figlio del pittore Santi di Pietro e da Magia di Battista di Nicola Ciarla, rimase orfano in giovane età , sia della madre (1491) che del padre (1494), dal quale non potè quindi ricevere che un primo indirizzo alla pittura. Grande importanza ebbero indubbiamente per la sua formazione le suggestioni della complessa civiltà artistico-letteraria della corrente di Urbino, dominata nella seconda metà del Quattrocento dalle grandi personalità di Piero della Francesca, Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini; ma fu lavorando a fianco del Perugino, negli ultimi anni del XV secolo, e nei primissimi del successivo, che Raffaello venne riscoprendo, attraverso le raffinate variazioni del maestro, la rigorosa articolazione spaziale e il monumentale ordine-compositivo delle opere di Piero della Francesca. Se la vicinanza e la collaborazione del precocissimo allievo non furono senza conseguenze per l'improvviso rinnovamento e dell'arte del Perugino, è tuttavia altrettanto evidente che i modi del maestro si trovano riecheggiati nelle opere del Sanzio anteriori al 1504; dall'affresco con la Madonna e il bambino (casa Santi, Urbino), alla Madonna leggente col bambino, alla Madonna col bambino e i Santi Girolamo e Francesco (Berlino, Staatliche Museen), dal San Sebastiano (Bergamo, Accademia Carrara) e dalla Resurrezione (Museu de arte di San Paolo), alla Crocifissione Mond (Londra, National Gallery), all'Incoronazione della Vergine (Pinacoteca vaticana), tutte opere datate tra il 1498 e il 1503. Punto terminale di questo processo di riscoperta della "misura urbinate" è lo Sposalizio della Vergine (Milano, Brera) dipinto nel 1504 per la chiesa di San Francesco a Città di Castello. Qui il rapporto tra le due figure in primo piano e l'edificio alle loro spalle segna ormai il deciso distacco dai modelli dal perugineschi: tutto il quadro è dominato dalla suggestione del ritmo circolare, intensificata dall'accentuato numero dei lati e dal portico che circona l'agile cilindro centrale e il tempio, cioè sorgente su una più alta gradinata eallontanato prospetticamente dal digradare delle lastre pavimentali, e che diviene asse di uno spazio alle cui leggi si sottomettono anche le figure, disposte secono un ritmo curvilineo. Così Raffaello ventenne si collegava alle più avanzate ricerche architettoniche sul tema dello spazio centralizzato.
    Con gli ambienti artistici toscani Raffaello potè entrare in contatto già prima del 1504, accompagnando il Perugino in qualcuno dei suoi viaggi, ma nell'autunno di quell'anno egli si stabilì a Firenze, proprio mentre nella città l'attività artistica prendeva nuovo slancio e Leonardo e Michelangelo si imponevano all'attenzione dei più giovani artisti. pur continuando a ricevere ordinazioni da parte di committenti umbri e dalla corte di Urbino, senza interrompere quindi i rapporti con gli ambienti in cui si era formato, Raffaello si dedicò per quattro anni a uno studio acutissimo e appassionato della tradizione fiorentina, aggiornando il proprio linguaggio sulle prove più recenti di Leonardo e del Buonarroti, ma risalendo fino alle fonti quattrocentesche: Pollaiolo, Donatello e Luca della Robbia.
    Ai primi mesi del soggiorno a Firenze risalgono opere come la Madonna Connestabile (San Pietroburgo, Ermitage), con l'inconsueto paesaggio nevoso, e il dittico formato dal Sogno del Cavaliere (Londra, National Gallery) e delle Tre Grazie (Chantilly, museo Condé), ispirato al Somnium Scipions: dipinti di piccolo formato nei quali l'apparente semplicità e spontaneità della composizione, che dona loro un fascino e un incanto sottili, è in realtà frutto di delicati equilibri ritmici, di suggestive consonanze tra la disposizione delle figure e l'ampiezza del paesaggio.
    Particolarmente numerose negli anni, le preziose variazioni sul tema della Madonna col Bambino o della Sacra Famiglia, che serbano traccia profonda delle meditazioni del giovane urbinate sulle ricerche di complesse soluzioni compositive portate avanti da Leonardo. Si tratta di dipinti tra i più raffinati e insieme popolari del Sanzio: la Madonna del Granduca (Firenze, Pitti), la Piccola Madonna Copwer (Washington, National Gallery of Art), la Sacra Famiglia con l'agnello (Madrid, Prado), la Madonna del Prato (Vienna, Kunsthistorisches Museum), la Madonna del Cardellino (Firenze, Uffizi), la Bella Giardiniera (Parigi, Louvre), la Madonna Esterhàzy (Budapest, Galleria Nazionale) e la Madonna Tempi (Monaco, Alte Pinakothek), per ricordare alcuni dei più noti.
    Raffaello traduce la complessità dei modelli con felice immediatezza: le figure, sovente raccolte nella monumentale composizione piramidale, appaiono legate da moti e sguardi affettuosi, espressione di sentimenti semplici e spontanei. Il rigoroso impianto spaziale delle opere giovanili si scioglie in una nuova naturalezza di ritmi e armoniosi annodamenti, mentre si accentua l'incarno dei colori e dei paesaggi limpidissimi. Le immagini sacre, mondanizzate e idealizzate nello stesso tempo, raggiungono veramente un supremo umanistico equilibrio tra la concretezza del reale e l'aspirazione a un'assoluta perfezione formale.
    Anche nei ritratti dipinti nei medesimi anni, accanto alla grandiosità di impostazione e di taglio, e alla superba resa pittorica, si impone un accentuato interesse per l'espressione che dà concretezza storica all'immagine, oltre che somma naturalezza ed evidenza, in particolare nella Dama con il liocorno (Roma, Galleria Borghese), Agnolo e Maddalena Doni (Firenze, Pitti), nella Donna gravida (Firenze, Pitti) e nella Muta (Urbino, Galleria Nazionale).
    Tra il 1505 - 1506 Raffaello dipinse per la corte di Urbino due tavolette con raffigurazione di carattere aristocratico e cortese del Combattimento di San Giorgio e il drago (Parigi, Louvre; Washington, National Gallery of Art) e una terza con San Michele e il drago (Parigi, Louvre). A chiese perugine erano destinate la Pala colonna (New York, Metropolitan Museum of Art) e la Pala ansidei (Londra, Ntional Gallery). Una terza pala la Madonna del baldacchino (Firene, Pitti) iniziata nel 1507 per la famiglia Dei a Firenze, presenta una composizione più mossa. Negli ultimi tempi del soggiorno fiorentino, dopo la partenza di Michelangelo per Roma e di Leonardo per Milano, l'arte di Raffaello andava attenuandosi quella spinta a un rinnovamento che aveva caratterizzato gli anni precedenti così tendendo sempre più a estreme raffinatezze formali in opere di impianto monumentale.
    Nella Sacra Famiglia Canigiani (Monaco, Althe Pinaothek) la struttura piramidale viene ripresa con un numero maggiore di figure; la Santa Caterina di Alessandria (Londra, National Gallery), invece sembra preludere all'intonazione devozionale delle grandi pale romane; nella Deposizione (Roma, Galleria Borghese), finisce per soffocare l'originale spunto drammatico, trasformandolo in altissimi esercizio stilistico.
    A Roma Raffello giunse negli ultimi mesi del 1508, introdotto da Bramante nell'ambiente della corte di Giulio II, pronta a raccogliere la successione di Firenze come centro della cultura e dell'arte del Rinascimento. Di tale straordinaria ricchezza di contenuti storici il Sanzio seppe farsi rapidamente il maggior interprete dando immagine a delle iealità ancora confuse, alle aspirazioni ancora indistinte dei letterati della corte papale e del pontefice stesso, che viste le prime prove dell'artista, decise di affidargli l'impresa dei suoi nuovi appartamenti: le Stanze Vaticane.
    Gli affreschi iniziarono nel 1509 nella Stanza della Segnatura e terminarono nel 1511; motivo iconografico dominante è l'esaltazione delle idee del vero (Disputa del Sacramento, Scuola di Atene) , del bene (Virtù cardinali e teologali, Legge) e del bello (il Parnaso). Nelle storie delle pareti non sono raffigurate immagini allegoriche, ma uomini illustri, personaggi storici che pur assumendo valore di simboli, vengono accuratamente tipicizzati nella fisionomia e nelle attitudini. Particolari e figure singole sono rigorosamente subordinati all'insieme, e lo spazio stesso diviene simbolo di un universo spirituale gerarchicamente orinato. In immagini semplici Raffaello riesce a concretare le idee più complesse, con tale facilità e prontezza, da lasciare sbaloriti gli stessi contemporanei. Dei medesimi anni sono lo splendido Ritratto di Cardinale (Madrid, Prado), la Madonna d'Alba (Washington, National Gallery of Art), Il trionfo di Galatea (Roma, Farnesina), il Profeta Isaia (Roma, Sant'Agostino).
    La decorazione della seconda stanza, detta Stanza di Eliodoro, iniziò nella seconda età del 1511 e terminò nel 1514. Nel nuovo ciclo il tema storico dell'intervento divino in favore della chiesa, fa chiaro riferimento ai programmi politico-religiosi di Giulio II e alle vicende del suo pontificato e sulle pareti sono raffigurate quattro storie: la Cacciata di Eliodoro dal tempio, la Messa di Bolsena, la Liberazione di San Pietro dal carcere e l'Incontro di Attila e Leone Magno. Col soggetto politico, il linguaggio diviene più concitato ricco di movimenti contrastanti e di potenti effetti luministici. Contemporanei, oltre a due superbe variazioni sul tema Madonna col bambino, sono la Madonna della seggiola (Firenze, Pitti), Madonna della Tenda (Monaco, Althe Pinaothek), l'affresco Sibille e Angeli (Roma, Santa Maria della Pace) e alcuni fra i più intensi ritratti: Fedra Inghirami (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum - Firenze, Pitti), la Donna Velata (Firenze, Pitti) e Baldassar Castiglione (Parigi, Louvre), nel quale lo sguardo, la fisionomia e l'atteggiamento divengono rivelazione di un'attitudine morale e un armonioso fondersi di sensibilità e compostezza, di sprezzatura e cortesia, grazie ad una miracolosa coerenza stilistica.
    Inoltre in quegli anni si dedicò al rinnovamente della pala d'altare, giungendo a soluzioni nuove e originalissime della Madonna di Foligno (Pinacoteca Vaticana), della Madonna sistina (Dresda, Gemaldegalerie) e della Santa Cecilia (Bologna, Pinacoteca Nazionale).
    Durante il pontificato di Leone X, incline più che all'azione di circondarsi di una corte dotta e fastosa, si spensero rapidamentte gli impulsi e le aspirazioni di Giulio II, così Raffaello accolse i nuovi interessi e si fece interprete delle nuove tendenze, mirando alla creazione di un linguaggio artistico che superasse le diverse esperienze delle scuole regionali quattrocentesche sul fondamento di una rinnovata classicità. Abbandonò allora in gran parte agli aiuti gli affreschi della terza stanza, detta dell'Incendio di Borgo, dedicandosi alle Pale d'altare e ai Cartoni degli arazzi, raffigurando episodi degli Atti degli Apostoli per la Sistina. Ma soprattutto la sua attività fu più intensamente assorbita dal 1514, dai lavori di architettura, dagli studi sull'antichità , che lo portarono all'idea grandiosa di rilevare la pianta di Roma antica e alla creazione di un nuovo tipo di decorazione a fresco e a stucco, di cui sono esempi insigni la Loggia d Psiche nella Farnesina, la Stufetta del cardinal Bibbiena, le logge e la loggetta nei Palazzi Vaticani. Alla morte di Bramante fu nominato architetto della Fabbrica di San Pietro e nel 1515, probabilmente venendo incontro a necessità liturgiche, progettò la pianta centrale bramantesca in pianta basilicale. Già negli ann, i precedenti si era occupato di architettura, costruendo le stalle e la foresteria della Farnesina (distrutte); erigendo la chiesa di Sant 'Eligio degli Orefici, di limpida e semplice struttura; iniziando la Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, che già rivela un'approfondita conoscenza dei monumenti antichi ed in particolare del Pantheon.
    Tra gli edifici di particolare importanza hanno l'originalissimo palazzo Branconio dell'Aquila (distrutto nel Seicento) e Villa Madama, sulle pendici del Monte Mario, che nonostante le alterazioni e i danni subiti, rivela ancora nel ritmo grandioso delle sue strutture, la genialità dell'idea raffaellesca, anticipatrice di soluzioni del tardo Cinquecento.
    Alla fine del 1517 nacque il progetto di porre in disegno la pianta di Roma antica, quando Raffaello divenne commissario delle antichità; elaborò quindi quel sistema di disegno architettonico in proiezione ortogonale, mediante il quale si proponeva di rilevare gli edifici antichi delle città e che espose per la prima volta in una lettera a Leone X.
    Tra le ultime imprese pittoriche, sono alcuni ritratti: Giovane donna (Roma, Galleria nazionale), Leone X tra due cardinali (Firenze, Uffizi), Doppio ritratto (Parigi, Louvre); la mirabile tavoletta raffigurante la Visione di Ezechiele (Firenze, Pitti), e la grande Pala con la Trasfigurazione (Pinacoteca Vaticana), della quale il Vasari narra che quando l'artista si spense, il 6 aprile 1520, gli venne posta accanto: "La quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'animo di dolore a ognuno che quivi guardava".

    La Rousse Arte

    Autoritratto - 1506 ca - Firenze, Galleria degli Uffizi
    Olio su tavola, 47,5 x 33 cm

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    Raffaello è un giovane poco più di vent'anni, vestito in modo sobrio, dai lineamenti fini e leggermente malinconinci e dal fare insicuro.L'attribuzione del dipinto, in cattivo stato di conservazione è controversa, ma il lineamenti del viso coincidono perfettamente con gli altri autoritratti. Oggi la paternità raffaellesca è in genere accettata, pur con le dovute riserve. Il dipinto è entrato nell'immaginario collettivo: venne riprodotto anche nelle banconote italiane da 500.000 lire.


    Edited by @Ambra@ - 2/5/2012, 14:47
     
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    Raffaello Stendardo della Santissima Trinità

    1499 - olio su tela - 166x94 cm - Città di Castello, Pinacoteca comunale



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    Lo stendardo processionale venne dipinto per la chiesa della Trinità di Città di Castello, in un momento imprecisato del soggiorno del giovanissimo pittore, recatosi a Città di Castello in sostituzione del padre, defunto nel 1494. Qui, in seguito alla partenza di Luca Signorelli, scarseggiavano i pittori di talento, per cui fu facile per il promettente artista, portatore ancora di uno stile peruginesco, ricevere numerose commissioni. Tra queste ci sono la mutila Pala del beato Nicola da Tolentino, oggi divisa in più musei, la Crocifissione Mond, alla National Gallery di Londra, e lo Sposalizio della Vergine, alla Pinacoteca di Brera.
    In genere lo stendardo è messo in relazione con la fine di una pestilenza nel 1499, come fa pensare la presenza dei santi Sebastiano e Rocco, protettori contro le epidemie. Da alcuni storici è quindi datato a un periodo immediatamente successivo, da altri qualche anno dopo, fino al 1503-1504.
    L'opera è ricordata come già molto compromessa nel 1638. Venne affidata al conte Della Porta nel 1867, il quale ne curò un restauro che asportò croste e i ritocchi nelle teste dei santi. Un restauro del dopoguerra ha poi riportato alla luce la superficie originaria, dove gli smalti e le velature sono ancora intatti.
    Il dipinto è stato esposto alla National Gallery per la mostra su Raffaello, tenuta nel 2004-2005.
    Lo stendardo, in cattivo stato di conservazione, era originariamente dipinto su entrambe le facce, che oggi sono separate ed esposte a fianco: da un lato vi sono raffigurati la Trinità con i santi Rocco e Sebastiano (recto) e dall'altro lato la Creazione di Eva (verso).
    Sorprende la freschezza dell'opera anche se sono ancora molto evidenti i debiti verso Perugino (nel dolce paesaggio, negli angeli simmetrici tra nastri svolazzanti) e Luca Signorelli (nell'impostazione volumetrica). Nuova è invece la sicurezza nella disposizione delle figure nello spazio, molto più coerente che nei suoi maestri.


    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:37
     
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    Raffaello Crocifissione Mond o Gavari

    1503 - Olio su tavola - 276x166 cm - Londra, National Gallery


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    Nel 1503 Raffaello realizzò sempre per Città di Castello la "Crocifissione Gavari" (conosciuta anche come "Crocifissione Mond") nella quale l’influenza del Perugino è molto presente: fusione tra figura e spazio, armonie di gesti, equilibrio di masse, dolcezza delle colorazioni saranno le costanti delle sue opere giovanili.
    Alla crocefissione assistono quattro figure dolenti : da sinistra vi sono la Vergine e San Girolamo inginocchiato, da destra San Giovanni e la Maddalena. Due angeli raccolgono in calici il sangue di Cristo.La composizione del dipinto pone il Cristo interamente nel Cielo, quasi a sottolineare la sua ascensione. Sullo sfondo si intravede una citta', probabilmente Firenze. Sole e luna, sulla sommità, rimandano alla tradizione iconografica medievale e alludono all'alfa e l'omega, ovvero l'inizio e la fine legata all'Incarnazione divina.

    Rafael_-_Milagre_de_Santo_Eus%C3%A9bio_de_Cremona-1
    Raffaello_Sanzio_-_St._Jerome_Punishing_the_Heretic_Sabinian


    La predella della tavola è composta da due tavolette:
    San Girolamo resuscita tre morti, 23x41 cm, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga
    Miracolo di san Girolamo, 23x41 cm, Raleigh, North Carolina Museum of Art
    La prima delle due tavolette venne documentata per la prima volta dal Passavant a Roma, nel 1845, che l'attribuì a Perugino. Gronau la collegò per la prima volta alla Crocifissione Gavari.
    La seconda mostra san Girolamo nell'atto di trattenere il braccio del carnefice che sta per decapitare il vescovo Silvano; altrettanto miracolosamente cade nel frattempo la testa dell'eretico Sabiniano. L'opera si trovava già nella collezione Cook a Richmond.
    Le due tavolette mostrano una narrazione vivacissima, che ben si sposa con i ritmi accentuati della pala principale.


    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:38
     
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    Raffaello Incoronazione della Vergine (Pala degli Oddi)

    1502-1503 - Olio su tavola trasportato su tela - 267x163 cm - Roma, Pinacoteca Vaticana



    PalaOddiRaffaello



    La composizione è divisa in senso orizzontale: in alto la Vergine, avvolta in un manto, è incoronata dal figlio, mentre il gruppo, posto su una sorta di piattaforma di nubi, è circondata da angeli musicanti e da teste di cherubini; in basso gli apostoli, secondo una disposizione semicircolare, circondano un sarcofago vuoto dove si intravedono dei teneri fiori.
    L'immagine inoltre rispetta una precisa simmetria, tanto che la parte destra corrisponde quasi esattamente a quella di sinistra.
    Questa costruzione geometrica lineare è in un certo senso interrotta dal sarcofago posto in maniera obliqua. Già al tempo dell'esecuzione di questa pala Raffaello dimostra una notevole capacità espressiva, libero dagli insegnamenti del Perugino che pure non dimentica.
    Infatti se la parte principale della scena sacra, ovvero quella superiore, ha un'impostazione più tradizionale quella inferiore, più umana e tangibile, rivela un nuovo interesse per le espressioni dei personaggi, assente invece nei dipinti del Perugino.
    In particolare si possono osservare i dolce lineamenti dell'apostolo in primo piano a destra, e confrontare fra di loro le figure al centro, l'anziano San Pietro con la chiave, l'estatico San Tommaso con la cintola, il pensieroso San Paolo con la spada.
    La pala dell'INCORONAZIONE DELLA VERGINE fu commissionata a Raffaello da Maddalena degli Oddi nel 1502 per la chiesa di San Francesco a Perugina, dove realizzerà anche il TRASPORTO DI CRISTO (Galleria Borghese), e nel 1508 l'affresco con la TRINITA' DEI SANTI nel monastero di San Severo. Nel corso della spoliazione dei capolavori italiani in epoca napoleonica, la PALA ODDI fu trasportata dai francesi a Parigi (1797), dove fu effettuato il trasporto su tela. Nel 1815 tornerà in Italia, e sarà inclusa nella collezione della Pinacoteca Vaticana.


    800px-Raphael_-_The_Annunciation_%28Oddi_altar%29

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    La predella, tutt'ora in loco, è composta da tre scomparti di 27x150 cm ciascuno. Essi vennero trasportati su un'unica tela, poi divisi e incorniciati da pilastrini.
    Rappresentano, dall'alto:
    Annunciazione
    Adorazione dei Magi
    Presentazione al Tempio
    Il modello delle scene è la predella della Pala di Fano di perugino e altre opere simili, ma rispetto al modello la luminosità è più cristallina e l'apertura al paesaggio di più ampio respiro.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:40
     
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    Raffaello Sposalizio della Vergine

    1504 - Olio su tavola - 170x117 cm - Milano, Pinacoteca di Brera





    In questa opera di Raffaello, realizzata quando aveva circa vent’anni, le influenze del Perugino sono molto evidenti, sia per il taglio compositivo sia per molti tratti stilistici. Il riferimento più diretto al Perugino è una tavola di analoghe dimensioni e soggetto, oggi conservata a Caen in Francia. Confrontando queste due opere appare innegabile non solo l’influenza del Perugino su Raffaello, ma anche la indubbia superiorità dell’allievo sul maestro. Innanzitutto guardiamo all’organizzazione spaziale. Nei due quadri vi è un primo piano con il gruppo delle figure ed un secondo piano di sfondo nel quale domina la forma perfetta di un tempio a pianta centrale. Nel caso di Perugino la connessione visiva tra i due piani è data dal pavimento a disegno geometrico: se lo eliminiamo sembra quasi che l’edificio sta sulla testa del gruppo di personaggi e non sullo sfondo.
    Raffaello apporta una formidabile correzione a questa composizione, arretrando l’edificio e dandogli una più corretta proporzione nell’economia generale dell’immagine: ne risulta una plausibilità spaziale molto più veritiera, e l’intero quadro sembra acquistare più aria e spazialità. Ma c’è un punto sul quale Raffaello è decisamente superiore. Se osserviamo le due immagini si può facilmente capire come il punto di vista dell’immagine è al livello del pavimento del tempio sullo sfondo: quindi un punto di vista alto. Nel quadro del Perugino le persone in primo piano sono rappresentate da un punto di vista più basso, creando una piccola incoerenza che, per la verità, solo un occhio esperto riesce a cogliere. Nel quadro di Raffaello, invece, il senso della spazialità è costruito in maniera più corretta in quanto, coerentemente con il punto di vista, il gruppo di persone è visto dall’alto in basso. Nel quadro di Raffaello, se osserviamo bene, le persone non si dispongono su una sola linea retta, ma formano un piccolo semicerchio: ciò lo possiamo notare soprattutto se osserviamo la linea costruita dai piedi dei personaggi in primo piano. Anche questo è un espediente compositivo che crea una spazialità più plausibile.
    Ma la superiorità di Raffaello non è data solo dal controllo dello spazio e della prospettiva, ma anche dalla più elegante realizzazione delle figure: queste hanno una diversificazione di pose e di atteggiamenti che rende il gruppo più plastico e reale. In definitiva, mentre il quadro del Perugino sembra fatto quasi di due scene sovrapposte (il gruppo in basso e il tempio in alto) il quadro di Raffaello trasmette una sensazione di reale e corretta spazialità, con personaggi meglio caratterizzati e definiti. Con questo quadro, pur utilizzando gli stessi elementi del Perugino, Raffaello dimostra di avere un talento superiore ed una capacità innata di fare le cose con un senso dell’eleganza e della bellezza che, al tempo, non aveva eguali.

    Perugino, Sposalizio della Vergine (1501-1504), Musée des Beaux-Arts, Caen
    456px-Casamento_-_perugino1



    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:41
     
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    Raffaello San Giorgio e il Drago

    1505 ca. - olio su tavola - 31x27 cm - Parigi, Louvre



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    Narra la leggenda che nei pressi della città di Selem in Libia vivesse, nascosto in uno stagno, un drago in grado di uccidere con il suo alito persone ed animali. Gli abitanti della città per placare la ferocia del drago, gli offrivano due pecore al giorno, ma quando queste cominciarono a scarseggiare furono costretti ad offrire in sacrificio anche un giovane estratto a sorte tra gli abitanti. Quando un giorno fu estratta Silene la giovane figlia del Re, quest'ultimo cercò in tutti i modi di evitarle l'atroce fine, ma dopo giorni di tentativi dovette cedere e la principessa si avviò verso il lago dove l'attendeva il suo triste destino.
    Proprio in quel momento si trovò a passare nelle vicinanze Giorgio in sella al suo cavallo, il quale venuto a conoscenza della storia si offrì di affrontare il drago, e quando quest'ultimo emerse dalle acque lo trafisse con la sua lancia ferendolo, quindi disse alla principessa di avvolgere la sua cintura attorno al collo del drago e insieme lo condussero in città, dove Giorgio promise di uccidere il mostro qualora tutti gli abitanti avessero abbracciato la fede in Cristo.
    Raffaello ambienta la sua rappresentazione dell'episodio in un tipico paesaggio umbro fatto di dolci colline e pendii che si perdono all'orizzonte, San Giorgio in sella al suo cavallo rampante è raffigurato nell'atto di finire il drago con la spada dopo averlo ferito con la lancia che giace spezzata a terra. In secondo piano la principessa Silene si allontana correndo spaventata.
    Nonostante le ridotte dimensioni del dipinto è stupefacente la resa cromatica dei dettagli, dalla lucente armatura di San Giorgio agli eleganti finimenti del suo cavallo. Tutta la raffigurazione è costruita sulla diagonale che corre dall'angolo inferiore sinistro a quello superiore destro del dipinto, in cui si susseguono i diversi piani della scena che aiutano l'osservatore a percepire la dinamicità e la profondità dell'azione, accentuata dal mantello del Santo agitato dal vento, che contrasta visibilmente con la serena e distaccata espressione del protagonista.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:43
     
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    Raffaello San Giorgio e il drago

    1505 ca. - olio su tavola - 28,5x21,5 - Washington, National Gallery of Art


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    L'opera è tradizionalmente associata col dipinto che Guidobaldo da Montefeltro inviò a Enrico VII d'Inghilterra come ringraziamento per il conferimento dell'Ordine della giarrettiera: la giarrettiera è infatti evidente al polpaccio del cavaliere, con l'iscrizione "Honi" che la prima parola del motto dell'ordine ("Honi soit qui mal y pense", "Sia vituperato chi ne pensa male"). La tavoletta, che doveva essere già completa nel 1505, venne portata da Baldassarre Castiglione, che dovette posticipare la sua partenza al luglio del 1506 per una malattia. Studi recenti hanno evidenziato come l'opera fosse destinata all'emissario del re, Gilbert Talbot, e non direttamente al sovrano.
    Le notizie successive sul dipinto sono contrastanti. Appare citato in un inventario del 1542, ma la descrizione non combacia, e di nuovo in uno del 1547 si parla del santo "con la lancia spezzata e la spada in mano", descrizione che si adatta piuttosto alla tavoletta di analogo soggetto al Louvre, che forse fu una copia richiesta all'artista da Guidobaldo per tenerla con sé a Urbino.
    L'ipotesi, avanzata dalla Cartwright (1895) e ripresa da MacCurdy (1917), è però legata a un dipinto perduto, che scomparve dalla Chair House (lo studio del re a Westminster) prima del novembre 1550. Il dipinto di Washington riapparve circa un secolo dopo nelle collezioni del duca di Pembroke (1627), che lo cedette, entro il 1639, a Carlo I d'Inghilterra, nelle cui collezioni l'opera godeva di una posizione privilegiata. Dopo la decapitazione di Carlo I il dipinto fu preso all'asta da Edward Bass e da lui forse venduto a Charles d'Escoubleau, marchese di Sourdis, varcando quindi la Manica.
    Finì poi a Laurent Le Tessier de Montarsy, che nel 1729 lo cedette a Pierre Crozat, un uomo ricchissimo di umili origini, che aveva una magnifica galleria d'arte privata. Dell'opera di Raffaello si dice che ne apprezzasse le qualità pittoriche, ma anche l'aura aristocratica che solo un dipinto proveniente da collezioni reali poteva donargli. Quando nel 1772 Caterina di Russia volle mostrare la sua grandiosità con una collezione degna delle sue ambizioni, acquistò la collezione Crozat dagli eredi di Pierre per intero. Fece da intermediario Denis Diderot: tale collezione andò a costituire il nucleo originario dell'Ermitage.
    L'opera restò a San Pietroburgo, sopravvivendo agli incendi e alla rivoluzione russa, finché nel 1930-1931 non fu selezionata da Stalin, assieme ad altri importanti capolavori, per essere messa in vendita in gran segreto, battendo cassa "per acquistare trattori". L'acquirente fu il magnate americano Andre W. Mellon, che sborsò in tutto sei milioni e cinquecentomila dollari per quello che è stato definito il più grande cambio di proprietà nella storia del collezionismo artistico dai tempi di Napoleone I.
    La collezione Mellon fu poi il nucleo centrale della nuova galleria americana, aperta nel 1937.
    In un dolce paesaggio dal sapore tipicamente umbro, fatto di colline e alberelli fronzuti, san Giorgio a cavallo sta infilzando il drago con la lancia. La lotta è composta sapientemente su linee ortogonali, che evidenziano lo scontro: la lancia e la gamba del santo sono infatti perpendicolari al corpo del drago, che rimanda ritmicamente al balzo del cavallo, facilitando la lettura dell'opera e la percezione della scansione dei piani in profondità.
    Defilata, a destra, si trova la principessa, compostamente in preghiera con lo sguardo fisso all'eroe, memore delle estasiate sante del Perugino. Il santo indossa una lucente armatura e un elmo crestato, mentre il mantello è gonfiato dal vento, esaltando il dinamismo.
    Alcuni dettagli rimandano all'esempio di Leonardo, come lo studio analitico delle pianticelle in primo piano, o l'anatomia in movimento del cavallo. Se la tavoletta di Parigi raffigura una lotta drammatica, in questa la costruzione esalta piuttosto il trionfo dell'eroe, richiamando il bassorilievo di Donatello a Orsanmichele (1416-1417 circa), con gesti simili dei personaggi anche se composti diversamente nello spazio.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:44
     
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    Raffaello Pala Colonna

    1503-1505 ca. - olio su tavola - 242x169 cm - New York, Metropolitan Museum of Art



    464px-Madonna_and_Child_Enthroned_with_Saints





    Nel 1503, dopo alcuni successi a Città di Castello, il giovanissimo Raffaello, erede di una bottega artistica dal padre prematuramente scomparso, inizia a ricevere alcune importanti commissioni per pale d'altare da altri centri, in particolare da Perugia, uno dei centri artistici più vitali del centro Italia.
    In quell'anno probabilmente le suore di Sant'Antonio richiesero una pala al Sanzio, facendo l'esplicita richiesta, come ricorda Vasari, di rappresentare Gesù Bambino vestito. L'opera, avviata in Umbria (come dimostra il sapore ancora peruginesco della lunetta), venne completata quando già l'artista risiedeva a Firenze, in uno o più dei suoi viaggi in Umbria, entro il 1505 circa.
    La tavola principale mostra una sacra conversazione con la Madonna col Bambino, san Giovannino e i santi Pietro, Caterina d'Alessandria, Margherita (o Cecilia) e Paolo (169x169,5 cm), sormontata da una lunetta con l'Eterno tra due angeli (73x168 cm). Queste due parti principali vennero autorizzate ad essere cedute nel 1677, finendo nelle proprietà di Antonio Bigazzini di Perugia. Passate nelle raccolte dei principi Colonna a Roma, e in quelle di Francesco I delle due Sicilie, vennero trasferite in Spagna nel 1861 da Francesco II. Qui, nel 1901 le acquistò Pierpont Morgan, che poi le lasciò al museo americano.
    La sacra conversazione della tavola centrale mostra una scioltezza che ha fatto pensare alle opere del periodo fiorentino, con il gruppo centrale raccolto attorno alla figura di Maria in trono e il vivace colloquio tra i due fanciulli, all'insegna di uno schema monumentale ma anche libero da una forte presenza architettonica, soprattutto ai lati. Lo stratagemma della tenda infatti amplifica la sensazione di uno spazio che circola tutt'intorno. Dietro Maria si trova un panno steso di ricco broccato, espediente che rimanda alla scuola veneta.
    L'influenza di Perugino si riscontra ancora forte nelle pose flessuose delle sue sante, col capo ritmicamente inclinato; al contempo però Raffaello si allontanava dal maestro rendendo maggiormente i volumi e trattando i colori in maniera diversa, più intensi e con una maggiore profondità delle sfumature. Particolarmente innovativi sono i santi in primo piano, che rimandano alla conoscenza delle opere di Giovanni Bellini e Fra Bartolomeo. Essi hanno gli sguardi messi in risalto e danno la singolare sensazione di percepire lo spettatore, pur senza fissarlo direttamente.

    San Francesco d'Assisi
    Raffaello_Sanzio_-_St._Francis_of_Assissi

    Agonia nel Giardino
    Raffaello_Sanzio_-_The_Agony_in_the_Garden

    La Processione al Calvario
    Raffaello_Sanzio_-_The_Procession_to_Calvary

    Pietà
    Rafaello_Sanzio_-_Piet%C3%A0%2C_c._1503-5

    Sant'Antonio da Padova
    Raffaello_Sanzio_-_St._Anthony_of_Padua



    Predella
    La predella invece era già stata ceduta nel 1663 a Cristina di Svezia e, dopo essere passata per varie collezioni, si trovò in quella del duca d'Orleans, disperdendosi quando venne venduta. Oggi si conoscono almeno tre scomparti:
    Orazione nell'orto, 24x28 cm, New York, Metropolitan Museum of Art
    Pietà, 24x28 cm, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum
    Andata al Calvario, 23x85 cm, Londra, National Gallery
    Tra le scene figurate, o alle estremità dovevano trovarsi dei santi a tutta figura, dei quali si conoscono due pezzi:
    San Francesco d'Assisi, 24x16 cm, Dulwich, Dulwich Picture Gallery
    Sant'Antonio da Padova, 24x16 cm, Dulwich, Dulwich Picture Gallery
    Essi sono in cattive condizioni di conservazione e non tutti li giudicano intermanete autografi. Esiste un terzo santo francescano simile per stile e dimensioni (26x17 cm) nella Gemäldegalerie di Dresda, riferito a quet'opera solo da Adolfo Venturi.
    Esistono vari disegni preparatori della lunetta e delle tavole della predella.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:45
     
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    Raffaello Madonna del Granduca

    1506 - olio su tavola - 84,4x55,9 cm - Firenze, Galleria Palatina

    Raphael_-_Madonna_dell_Granduca_LR



    Il nome di quest’olio su tela è dovuto al granduca di Toscana Ferdinando III, che, dopo aver acquistato l’opera, nel 1799 per la sua camera da letto, non se ne separava mai, impedendone la visione ai numerosi copisti che ne facevano richiesta.
    La figura della Vergine in piedi, a tre quarti, che tiene tra le braccia il Bambino dallo sguardo rivolto verso lo spettatore (a Raffaello derivò dalla scultura gotica la rappresentazione della Vergine in piedi col figlio tra le braccia), in movimento opposto che bilancia la composizione, in un moto elicoidale che lascia presupporre che in origine l’opera doveva essere stata concepita per una tavola tonda, o che, comunque, prevedeva un’inquadratura all’interno di un cerchio, rappresentata, con un taglio piuttosto basso che ne accentua la monumentalità, in evidente studio dello sfumato, è posta da Raffaello su uno sfondo scuro (ma, secondo i risultati di un’indagine radiografica, che, tra l’altro, ha permesso di postdatare l’opera, dal 1504 al 1506, dietro le figure in origine doveva esserci una finestra che si apriva su un paesaggio), dal quale emerge gradualmente, racchiusa nel volume del manto, il delicato modellato della figura, con una soluzione unica in quel tempo, che maggiormente l’esalta pur nella semplicità strutturale.
    Il quadro, che colpisce soprattutto per gli occhi abbassati, in atteggiamento di grazia e modestia, del volto della Madonna, idealizzato, eppure profondamente terreno, la cui immagine dolcissima è anche un poco mesta, come presaga del destino di sofferenza che attende il Bambino e che colpirà lei nell’affetto più grande, quello di madre, riduce all’essenziale il rapporto fra i due personaggi, effigiati nell’atto di un abbraccio eterno che sancisce il loro legame, umano e spirituale nel contempo. Perciò si qualifica d’intensa bellezza, che rende ben chiaro ancora oggi come la pittura di Raffaello sia stato da subito considerata formalmente perfetta, elegante, raffinata, eppure disinvolta e naturale, priva di artificiosità, a tal punto da essere stata comprensibile a tutti e apprezzata da persone di qualsiasi livello sociale.

    Una particolare analisi radiografica eseguita dall’Opificio di Firenze consente di riscrivere una importante pagina di storia dell’arte. Il fondo nero potrebbe essere un’aggiunta del XVII secolo: un altro dipinto del XVI secolo, che riecheggia la «Madonna», mostra ancora un’architettura sullo sfondo.

    La radiografia mette in evidenza lo strato della pittura coperto dal fondo nero dipinto ai lati della Madonna col Bambino (1) con, dietro, una balaustra (2) e un paesaggio (3); una struttura con cornicione chiude la veduta dietro la Madonna (4) e un’altra struttura si intravede sulla sinistra (5)

    raffaello-radiografia-590-8



    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:47
     
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    Raffaello Madonna del Cardellino

    1506 ca. - olio su tavola - 107x77 cm - Firenze, Uffizi


    Madonna del cardellino 1998
    getImage.php?id=534&w=800&h=600&f=0&

    Madonna del cardellino durante restauro
    getImage.php?id=535&w=800&h=600&f=0&

    Madonna del cardellino durante il ritocco pittorico
    getImage.php?id=536&w=800&h=600&f=0&

    Madonna del Cardellino
    Madonna_del_cardellino_dopo_il_restauro



    La Madonna del cardellino fu dipinta a Firenze dal giovane Raffaello per le nozze di Lorenzo Nasi intorno al 1506. Si tratta di uno straordinario capolavoro della storia dell’arte italiana particolarmente “sfortunato”, perché appena quarant’anni dopo la sua creazione venne coinvolto, come testimoniato dal racconto di Giorgio Vasari, nel crollo del palazzo in cui era conservato (1548). L’incidente portò l’opera a spaccarsi in più parti, che furono poi rimontate in un antico restauro, mentre due inserti nuovi vennero messi a colmare due mancanze. La sua storia conservativa da allora è stata caratterizzata costantemente da una sovrammissione di materiali, tesa per lo più a nascondere gli antichi guasti. Per accordare infatti alla pittura raffaellesca le integrazioni frutto dell’antico restauro (attribuite da Carlo Gamba a Ridolfo del Ghirlandaio), la tavola è stata via via patinata e verniciata, con l’aggiunta di materiali sempre nuovi, senza che mai fosse eseguita una pulitura.
    Quando il dipinto giunse nel Laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, in seguito alle prime indagini, si comprese che al di sotto dei materiali aggiunti nel tempo e che sono venuti via via conferendo al dipinto un colore ambrato, molto caldo (tanto da creare il mito del “Raffaello dorato”) erano completamente celati gli splendidi colori della tavolozza di Raffaello, che, al di là delle zone con le rotture, si mostravano sostanzialmente in discrete condizioni.
    Il restauro della Madonna del cardellino, è stato al centro di un progetto di studio e di ricerca che ha mirato alla conoscenza il più possibile approfondita della tecnica pittorica utilizzata da Raffaello e delle vicende che l’opera ha subito nel corso dei secoli. Secondo la fondamentale lezione di Cesare Brandi, sappiamo infatti che all’interno dell’opera d’arte si contempera una duplicità di valori: quelli materiali e quelli immateriali. I primi sono attinenti alle materie costitutive dell’opera d’arte stessa, i secondi includono invece tutti quei significati di cui l’opera è portatrice. Il restauro consiste così per prima cosa in un’attribuzione di valore che si realizza in un atto critico, all’interno di un momento di conoscenza di questa doppia serie di significati.
    Per giungere a tale conoscenza sono indispensabili molte indagini diagnostiche di tipo fisico-ottico e chimico che vengono di routine condotte all’interno del Laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure, da parte del Laboratorio Scientifico interno o in collaborazione con altri Istituti Universitari e di ricerca. In questo caso, a titolo esemplificativo la Radiografia X ha rivelato chiaramente la tecnica originale di costruzione del supporto e soprattutto i danneggiamenti dovuti al crollo cinquecentesco del Palazzo dei Nasi, la maniera in cui i vari frammenti sono stati ricomposti e le parti aggiunte all’epoca per ricomporre l’unità perduta. La riflettografia IR (realizzata con scanner IR ad alta risoluzione dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze) ha poi portato all’individuazione del disegno preparatorio e ha messo in evidenza l’uso dello spolvero come tecnica utilizzata per il trasferimento del disegno dal cartone alla tavola. A indicare chiaramente la presenza di una quantità elevata di vernici alterate al di sopra della superficie pittorica è stata infine la Fluorescenza UV.
    Una volta appurato che la pellicola pittorica originale era in buona parte integra, si è dato il via al restauro. Il colore è coinvolto in due tematiche assai complesse: la pulitura (eseguita secondo il metodo che possiamo definire fiorentino) e l’integrazione delle lacune. La pulitura è stata condotta in maniera selettiva, setto il controllo costante del microscopio binoculare, per sorvegliare momento dopo momento le operazioni. I risultati conseguiti sono stati veramente sorprendenti: in alcuni punti la materia non originale, soprammessa e scurita dagli anni, aveva raggiunto anche diversi millimetri di spessore. Rimuovendo tali strati alterati, il colore rinvenuto ha davvero rappresentato una sorpresa: si è recuperata, oltre a una brillantezza stupefacente del lapislazzuli del manto della Madonna e oltre al rosso della veste, una finezza di particolari nel paesaggio del fondo, che per secoli erano stati nascosti (per esempio, alcuni dettagli del prato).
    Per quanto invece riguarda l’integrazione pittorica, vista l’estensione delle lacune che per di più tagliavano verticalmente la figurazione, si è preferito un tipo di selezione cromatica a tratteggio molto sottile, per non interferire negativamente con la lettura estetica del dipinto. Bisognava infatti fare in modo che le integrazioni fossero comunque riconoscibili a una visione ravvicinata dell’opera, senza che da una normale distanza l’immagine venisse percepita come frammentaria.
    Anche il supporto ligneo è stato rivisto, abbinando il miglioramento dell’andamento della superficie e della tenuta delle giunzioni con il massimo rispetto della materia originale.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:48
     
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    Raffaello Madonna del Belvedere (Madonna del Prato)

    1506 - olio su tavola - 113x88 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


    471px-Belvedere_madonna



    Ricordata nel sec. XVII nella casa Taddei, la tavola è con buona approssimazione una delle due che Vasari ricorda dipinte da Raffaello per Taddeo Taddei, in particolare quella ritenuta migliore in quanto priva ormai di scorie peruginesche (l’altra è identificabile con la Madonna dei Terranova). Passata successivamente nelle collezioni di Ferdinando d’Austria, nel 1773 entrò a far parte della raccolta d’arte conservata al Belvedere a Vienna da cui trasse il nome con cui è nota. La costruzione del gruppo piramidale prende le mosse dalle ricerche condotte da Leonardo sulle rotazioni corporee e sui moti dell’ animo, che Raffaello sviluppa negli anni fiorentini in numerose varianti che raggiungono equilibri ed armonie nuove, fino a questo capolavoro. La tavola, datata sull’ orlo della veste M.D.VI, raffigura Maria che flettendo il busto aiuta Gesù nei suoi incerti passi: il Bambino istaura un gioco affettuoso con il piccolo Giovanni per mezzo della Croce di cui è evidente il significato simbolico. La figura del piccolo eremita si incunea alla base della veste azzurra di Maria, divenendo l’estremità sinistra della piramide cui si contrappone sull’altro lato la gamba distesa della Vergine. I colori intensi ed armoniosi sono distesi in morbide sfumature e si stagliano sull’azzurro tenue del cielo e sul profondo paesaggio lacustre; in primo piano ci accorgiamo della presenza di margherite, fragole e di un rosso papavero, che ci parlano ancora del sangue, della Passione e della Risurrezione di Cristo.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:48
     
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    Raffaello Rittratto di giovane con la mela

    1505 ca. - olio su tavola - 47x35 cm - Uffizi, Firenze


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    Non si conoscono le origini del dipinto, né l'esatta identificazione dell'effigiato. Le ipotesi più accreditate, ormai da molti anni, legano l'opera alla committenza Montefeltro/Della Rovere di Raffaello, con una serie di opere che giunsero a Firenze da Urbino con la dote di Vittoria della Rovere nel 1631.
    Un po' come il Ritratto di Elisabetta Gonzaga, nello stesso museo, l'opera è stata assegnata a vari autori (Francesco Francia, Cesare Tamaroccio...), tra cui è ormai preponderante l'attribuzione proprio a Raffaello, anche per il livello artistico molto alto. Per quanto riguarda il soggetto, tradizionalmente si riferisce a Francesco Maria Della Rovere, il giovane ragazzo, figlio di Giovanna da Montefeltro e Giovanni Della Rovere a cui spettò il ducato di Urbino dopo essere stato adottato dal Duca, per l'estinzione della linea maschile dei Montefeltro dovuta alla sterilità di Guidobaldo I. Alcuni, quali Lietzmann e Becherucci, pensarono invece che il ritratto ritraesse lo stesso Guidobaldo, del quale esiste per un altro ritratto raffaellesco di altrettanto incerta identificazione.
    Il soggetto è ritratto a metà figura, con il busto di tre quarti verso sinistra e la testa leggermente ruotata verso lo spettatore, mentre lo sguardo diverge a destra, evitando un contatto visivo diretto e manifestando così un senso di schiva alterigia e austerità, consono all'atteggiamento di un potente.
    Le mani poggiano su un parapetto, reggendo una mela. Esse sono leggermente sottodimensionate, ma si adattano per una adolescente: se il ritratto fosse infatti veramente quello di Francesco Maria, all'epoca avrebbe avuto quattordici anni. L'abbigliamento è principesco: in testa indossa una berretta rossa, calzata leggermente inclinata, con un nastro scuro che sporge, mentre addosso ha una casacca lavorata (il robone) a inserti bianchi su rosso, con un vistoso collo di pelliccia di zibellino che copre anche i bordi e forse foderava tutto il busto; la veste è rossa e la camicia bianca si vede al collo e ai polsi. Il capelli castani sono tagliati a caschetto, gli occhi un po' sporgenti, il naso dritto e fine, le labbra sottili, che sembrano quasi serrate aristocraticamente, il mento ha una fossetta. I dettagli fisici, anche quelli esteticamente imperfetti, sono trattati dall'artista con un'oggettività aulica e raffinata, che non intacca per niente il senso di dignità della figura.
    La mela dorata sembra rafforzare, simbolicamente, l'identificazione con Francesco Maria: proprio nel 1504 venne scelto come erede del Ducato di Urbino dallo zio Guidobaldo, e il pomo dorato alluderebbe alla scelta di Paride, che gli avrebbe fruttato la carica temporale futura.
    Il paesaggio dello sfondo richiama i modelli umbri, con elementi genericamente tipici, come il laghetto, le colline che sfumano in lontananza, qualche alberello fronzuto.
    Straordinaria è la freschezza cromatica del dipinto, basata sui toni rossi intensi in contrasto con il paesaggio dai colori freddi, facendo sì che si esaltino a vicenda.

    Edited by Albrecht - 31/8/2012, 15:59
     
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    Raffaello Dama del liocorno

    1505-1506 ca. - olio su tavola - 65x51 cm - Roma, Galleria Borghese

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    In origine, la fanciulla ritratta rispondeva all’iconografia di santa Caterina d’Alessandria, recante fra le mani il dettaglio di una ruota dentata invece dell’attuale unicorno. All’inizio del XIX secolo Giulio Cantalamessa mise in evidenza la qualità non omogenea del dipinto, che si presentava particolarmente carente in corrispondenza delle mani e della ruota dentata, aprendo la strada alla proposta attributiva di Roberto Longhi. Lo studioso, oltre ad avanzare il nome di Raffaello, giunse con straordinaria intuizione a prefigurare l’aspetto dipinto originale, pienamente confermato dalle immagini radiografiche e dal successivo restauro del 1935. Rivelatasi in quella circostanza la sorprendente presenza dell’unicorno, venne inoltre accertato che l’animale mitologico, tradizionale simbolo di purezza, aveva addirittura sostituito la precedente raffigurazione di un cane, probabile analogo riferimento ai temi della castità e fedeltà coniugale.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:51
     
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    Raffaello Madonna del baldacchino

    1507-1508 ca. - olio su tela - 276x224 cm - Firenze, Galleria Palatina


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    La Madonna col Bambino in trono tra santi, detta Madonna del baldacchino, fu realizzata da Raffaello per la cappella delle famiglia Dei in Santo Spirito nell’ultimo periodo del suo soggiorno fiorentino e rimase incompiuta per la partenza dell’urbinate per Roma, nel 1508. Fin dal Cinquecento si trovava nella pieve di Pescia dalla quale la fece rimuovere, affascinato dalla bellezza dell’opera, il gran principe Ferdinando de’ Medici che la volle a Firenze nella quadreria granducale. Composizione molto complessa, alla quale collaborarono anche gli allievi, la pala reinterpreta in termini moderni le pale d’altare tardoquattrocentesche venete e quella di Piero della Francesca conservata a Brera. Possiede un impianto monumentale che influì sull’opera del fiorentino e già affermato Fra’ Bartolomeo, che lo riprese nelle sue grandi pale successive, tra cui si ricorda lo Sposalizio di santa Caterina, eseguito nel 1512.

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:52
     
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    Raffaello Deposizione

    1507 - olio su tavola - 184x176 cm - Roma, Galleria Borghese



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    Il trasporto di Cristo, più noto con il nome della Deposizione di Raffaello fu dipinto per Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, ucciso nelle lotte per la signoria di Perugia e collocato nella chiesa di San Francesco della stessa città nel 1507. Nella città rimase per 101 anni, finché nottetempo, con la complicità del clero, il dipinto fu prelevato e inviato a Paolo V che lo donò al nipote per la collezione, ed entrò così a far parte del patrimonio privato dei Borghese. In seguito al trattato di Tolentino il dipinto fu trasferito nel 1797 a Parigi. Dopo il ritorno a Roma nel 1816, soltanto la scena centrale fu restituita alla collezione Borghese, mentre le tre Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità della predella rimasero ai Musei Vaticani (la cimasa di Tiberio Alfani, finì nella Galleria Nazionale dell'Umbria).
    La grande pala offre la scena a modo di un rilievo romano e s'ispira ai rilievi presenti su sarcofagi romani raffiguranti il trasporto di Meleagro. Interessante è notare che nel disegno preparatorio l'autore aveva previsto il Cristo giacente per terra come nel Perugino, ma nella realizzazione intervenne l'idea del trasporto alla maniera antica di un rilievo, studiato a Firenze probabilmente con l'esempio del sarcofago Montalvo (oggi Milano, coll. Torno). Ma anche un tributo a Michelangelo è percepibile nella composizione di Cristo (cfr. Pietà, San Pietro) e nella figura che si gira di profilo per sorreggere la madonna ripetendo un movimento simile a quello raffigurato nel Tondo Doni (Uffizi, compiuto un anno prima della Deposizione).

    Edited by Albrecht - 26/4/2012, 16:52
     
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