Ambrogio Lorenzetti - Vita e Opere

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    AMBROGIO LORENZETTI



    Ambrogio Lorenzetti (1290 - 1347 ca) è stato un pittore italiano fratello di Pietro.
    Si formò nell'ambiente senese, ma venne presto a contatto con la cultura fiorentina, come testimonia la prima opera nota, la Madonna col Bambino (1319) per la chiesa rurale di in Vico l'Abate, presso Firenze. In essa appaiono anche legami con la tradizione bizantino duecentesca e con la scultura di Antonio Pisano, pur nella scoperta dui una personale espressione affidata alla lineaampia ed elastica che sintetizza le forme identificandole in vivi piani cromatici. Nel frattempo si maturava nell'artista una tendenza volta ad approfondire i consueti temi dell'iconografia cristiana, come nelle serie di Madonne, caratteizzate dalla ricerca di inedite notazioni psicologiche: Madonna del latte (Siena, Cappella del Pontificio), Madonna del polittico (Chiesadi Santa petronilla), Madonna delle Serre Rapolane (Siena, Pinacoteca), Madonna Cagnola (Milano, Brera).
    A Siena eseguì alcuni affreschi per la chiesa di San Francesco: Accettazione di San Lodovico da Tolosa nell'Ordine e Martirio dei Francescani a Ceuta (1331 ca), che per alcuni aspetti preludono al più vasto e complesso ciclo pittorico dell'artista: la decorazione della sala dei Nove del palazzo Pubblico di Siena con le Allegorie ed effetti del buono e del cattivo Governo in città e nel contado. Questo complesso di soggetto politico, didalisco e morale, meglio rivela la straordinaria versatilità dell'artista, pronto ad accogliere i più vivi aspetti del mondo e della società del suo tempo con grande acutezza e fedeltà storica. Particolarmente nuove sono le vedute di Siena e del contado, riprese dall'alto e con una prospettiva immaginosa, motivo che appare anche in altre opere, come nel polittico con Storie di San Nicola (1332 ca, Firenze, Uffizi) e nelle sue tavolette Città sul Mare e Castello in riva al lago (Siena, Pinacoteca) esempi unici di paesaggio puro.
    L'artista concluse la sua attività con un gruppo di opere che rivelano la lirica e contemplativa gravità della sua visione, ben lontana da quella del fratello Pietro: Madonna in trono (Massa Marittima, Municipio), Presentazione al tempio (1342, Firenze, Uffizi), Annunciazione (1344, Siena, Pinacoteca), Incoronazione (Perugia, Chies di sant'Agostino).


    La Rousse Arte



    Edited by @Ambra@ - 1/5/2012, 22:29
     
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    Ambrogio Lorenzetti Madonna col Bambino di Vico l'Abate

    1319 - Tempera e oro su tavola - 150x78 cm - Museo di San Casciano, San Casciano in Val di Pesa


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    E' datata 1319 come riportato nell'iscrizione in basso "A.D. MCCCXVIIII. P(E)R RIMEDIO D(E)L A(N)I(M)A DI BURNACIO. DUCIO DA TOLANO FECELA FARE BERNARDO FIGLIUOLO BURNA...". Si tratta della prima opera certa di Ambrogio Lorenzetti.
    La tavola è totalmente diversa dalle precedenti Maestà o Madonne col Bambino di Duccio di Buoninsegna, a tal punto da far pensare che a differenza del fratello Pietro Lorenzetti e di Simone Martini, Ambrogio non si sia formato nella bottega di Duccio. La presenza di quest’opera in un paese vicino Firenze, e le successive testimonianze che vedrebbero Ambrogio a Firenze e dintorni almeno fino al 1332, fanno altresì ritenere che Ambrogio Lorenzetti, seppure senese, ebbe una formazione più vicina a quella fiorentina di Giotto e dello scultore Arnolfo di Cambio, come è evidente nella solidità delle figure. La distanza da Giotto e dai suoi seguaci rimane comunque notevole, ponendo l’autore distante anche dalla scuola pittorica fiorentina e contribuendo far emergere nell’arte di Ambrogio Lorenzetti tratti davvero originali sin dagli esordi.

    In questa tavola le fisionomie di Maria e del Bambino sono poco dolci. Le figure sono di una presenza statuaria e possente, che echeggia anche le statue di Arnolfo di Cambio. La rappresentazione della Madonna è frontale, alla maniera bizantina e ricorda le opere della seconda metà del 1200 (qualche esperto ha addirittura avanzato l’ipotesi che il committente abbia chiesto esplicitamente all’autore di richiamarsi allo stile di quel tempo). Il manto della Madonna è reso con un colore compatto e con scarsa caratterizzazione a pieghe del panneggio. I volti hanno una caratterizzazione chiaroscurale non eccelsa e il trono è un semplice seggio di legno spigoloso che riporta decorazioni geometriche, ma un’architettura ridotta ai minimi termini. Questi erano probabilmente i limiti di un pittore giovane che tuttavia conoscerà successivamente un’evoluzione vertiginosa.

    Piuttosto una cosa è straordinaria già in questa tavola giovanile e anticipa quello che sarà uno dei maggiori contributi di Ambrogio nella storia dell’arte, cioè il suo vivo naturalismo nella resa dei personaggi. Le mani di Maria reggono il bambino piuttosto che attorniarlo. La mano destra è inclinata rispetto all’avambraccio a reggere la gamba destra di Gesù. Le dita di entrambe le mani non sono parallele, ma sono disposte in modo da reggere meglio l’infante. Soprattutto spicca l’indice della mano destra che ha un naturalismo funzionale al gesto mai visto prima. Il Bambino guarda la madre. I suoi polsi e lo scorcio del suo piede sinistro mostrano un bambino che si agita e scalcia come un vero infante.



    Edited by Albrecht - 12/4/2012, 17:49
     
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    Ambrogio Lorenzetti Trittico di San Procolo

    1332 - Tempera e olio su tavola - 171x143 cm - Uffizi, Firenze




    Il trittico, recentemente ricomposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze, riporta la Madonna col Bambino tra i santi Nicola (a sinistra) e Procolo (a destra). Sopra i tre panelli le cuspidi riportano il Cristo Redentore (al centro) e i santi Giovanni Evangelista (a sinistra) e Giovanni Battista (a destra). Rispetto alla Madonna di Vico l’Abate del 1319 Ambrogio Lorenzetti aveva compiuto passi da gigante nella resa volumetrica dei personaggi, nell’ingentilimento delle figure, nell’uso delle modulazioni chiaroscurali, nella spiccata profilatura dei personaggi, nella ricca decorazione, adesso decisamente più vicini a quelli della scuola di Giotto. Le posture dei personaggi sono ancora rigide e questi sembrano come ingessati, contraddistinguendosi dalle figure di Giotto dei primi anni trenta (per esempio del contemporaneo Polittico di Bologna) o anche da quelle di Simone Martini o Lippo Memmi (per esempio della coeva tavola di Kansas City di Lippo Memmi).

    Tuttavia è ancora l’umanità del rapporto tra Maria e il Bambino che contraddistingue l’opera. In questo dipinto Gesù Bambino guarda sua madre con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta generando un’espressione tipica di un neonato. Maria ricambia lo sguardo ed offre al bambino un’espressione serena e rassicurante e le dita della la mano destra per giocare. La mano sinistra di Maria ha invece la tipica disposizione “lorenzettiana” a dita divaricate, sottolineando l’energia della sua presa.



    Edited by Albrecht - 12/4/2012, 17:49
     
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    Ambrogio Lorenzetti Madonna del Latte

    1330 ca. - Tempera e olio su tavola - 90x48 cm - Palazzo Arcivescovile, Siena



    A differenza delle precedenti tavole trecentesche e quelle di tradizione bizantina, Maria non ha una posizione centrale dominante, è spostata verso sinistra per dare più spazio e importanza al vivace Gesù bambino e far risaltare il loro affettuoso rapporto. La Vergine Madre sostiene con mani poderose e con una presa sicura il dinamico bambino che scalcia con movimento naturalissimo e reclina verso di lui il volto sereno per osservarlo mentre si allatta, succhiando con avidità infantile, dal seno su cui poggia le manine. Le due figure, grazie a questa stretta correlazione dei gesti, si integrano armonicamente tanto da formare un unico gruppo; tale interazione è sottolineata dal gioco dei colori: sull’intenso blu del manto che avvolge la Vergine spicca il cangiante rosa del panneggiato e ricamato tessuto da cui fuoriesce il tenero corpo di Gesù. La monumentalità del gruppo è resa più evidente dalla realizzazione di un bordo violaceo, che delimita il fondo d’oro, e oltre il quale le figure sono dipinte tanto da sembrare che si affacciano dalla cornice lignea.



    Edited by Albrecht - 12/4/2012, 17:50
     
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    Ambrogio Lorenzetti Scene della vita di San Nicola

    1332 ca. - Tempera su tavola - Uffizi, Firenze


    Miracolo del bambino resuscitato


    Miracolo della moltiplicazione del grano


    Dono alle prostitute


    Elezione a vescovo



    Edited by Albrecht - 30/4/2012, 13:41
     
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    Ambrogio Lorenzetti Allegorie ed effetti del buono e del cattivo Governo

    1337-1340 - Affreschi - Siena, Palazzo Pubblico


    Allegorie ed effetti del buon governo


    Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città


    Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Campagna


    Allegoria del Cattivo Governo


    Allegoria degli Effetti del Cattivo Governo in Campagna


    L'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo è un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservato nel Palazzo Pubblico di Siena e databile al 1337-1340. Gli affreschi, che dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini che si riunivano in queste sale, sono composti da quattro scene disposte lungo tutto il registro superiore di una stanza rettangolare, detta Sala del Consiglio dei Nove, o della Pace.

    Gli affreschi hanno un chiaro effetto didascalico, confrontando le allegorie del Buono e Cattivo Governo (popolate da personaggi allegorici facilmente identificabili grazie alle didascalie), alle quali seguono due paesaggi di una medesima città (Siena), con gli effetti dei rispettivi operati.

    Negli Effetti del Buon Governo in campgna e in città ad esempio i cittadini vivono nell'ordine e nell'armonia, mentre negli Effetti del Cattivo Governo in campagna e in città (più danneggiato) si vede una città in rovina

    Nell'Allegoria del Buon Governo , la Giustizia è assisa in trono sulla sinistra, con una grande bilancia, sui cui bracci due angeli amministrano premi e punizione: per esempio quello di sinistra con una mano decapita un uomo, con l'altra ne incorona un altro. La Giustizia guarda in alto, dove vola la Sapienza, che la istruisce. Sotto la Giustizia sta seduta a un banco la Concordia, diretta conseguenza della prima, che dà ai cittadini le corde per muovere i piatti della bilancia della giustizia. Il corteo di cittadini va quindi verso il simbolo di Siena, la lupa con i due gemelli, sopra il quale si emana il Buon Governo, rappresentato da un monarca in maestà. A lui i cittadini offrono la corda per manovrare la Giustiza. Il Buon Governo è protetto dalle tre Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità), mentre ai lati del trono, su un sedile coperto da splendide stoffe, sono assise in varie pose le personificazioni della Giustizia, della Temperanza, della Magnanimità, della Prudenza, della Fortezza e della Pace. Famosa è la figura della pace, mollemente semisdraiata in una posa sinuosa, con un rametto di ulivo in mano. Nell'angolo destro il pittore sistemò, con un disegno acutamente realistico, una serie di prigionieri scortati da guardie a cavallo. Essi rimangono fuori dalle mura che si ergono a fianco della lupa.

    L'affresco dell' Allegoria ed effetti del cattivo Governo è più danneggiato, con diverse zone interessate dalla caduta della superficie pittorica. Dipinto in maniera speculare a quello del Buon Governo, doveva permettere il diretto confronto didascalico con l'affresco sulla parete opposta. Un diavolo simboleggia la Tirannide, sul quale volano Avarizia, Sperbia e Vanagloria; della sua bestiale corte fanno parte Furore, Divisione, Guerra, Frode, Tradimento e Crudeltà. Ai suoi piedi la Giustizia legata è tenuta da un individuo solo (non dalla comunità). La città del Cattivo Governo è crollante e piena di macerie, perché i suoi cittadini distruggono piuttosto che costruire, vi si svolgono omicidi, innocenti vengono arrestati, le attività economiche sono miserabili. La campagna è incendiata ed eserciti marciano verso le mura. In cielo vola il sinistro Timore.



    Edited by Albrecht - 12/4/2012, 17:51
     
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    Ambrogio Lorenzetti Presentazione al Tempio

    1342 - Tempera su tavola - 257x168 cm - Firenze, Uffizi


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    L'opera decorava l'altare di San Crescenzio nel Duomo di Siena ed era stata commissionata in occasione del programma decorativo degli altari dedicati ai quattro santi patroni di Siena (Sant'Ansano, San Savino, San Crescenzio e San Vittore) nel corso del 1330-1350. Per la precisione i quattro altari erano posti ai quattro angoli della crociera (intersezione navata principale e transetto) del Duomo. Per tale programma vennero dipinte anche l'Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi nel 1333 (altare di Sant'Ansano), la Natività della Vergine di Pietro Lorenzetti del 1342 (altare di San Savino) e la Natività, oggi smembrata, che si ritiene dipinta da Bartolomeo Bulgarini nel 1351 (altare di San Vittore). Tutti i dipinti dovevano celebrare la Madonna con storie della sua vita, le quali erano concluse nella grandiosa pala della Maestà di Duccio di Buoninsegna. Le lacche costose e il blu di lapislazzuli, riemersi nel restauro del 1986, confermano la committenza illustre.
    Grazie a due descrizioni quattrocentesche si conosce che l'opera di Ambrogio Lorenzetti era originariamente un trittico, con ai lati due scomparti con san Michele Arcangelo e san Crescenzio martire (che reggeva la propria testa mozzata in mano) e in basso una predella. Ancora un secolo dopo la Presentazione era di ispirazione per gli artisti, come Giovanni di Paolo e Bartolo di Fredi, che ne dipinsero delle copie.
    L'opera venne in seguito manomessa e, rimossa dalla sua prestigiosa collocazione, finì in un monastero femminile di Siena, finché il granduca Ferdinando III non la fece trasferire a Firenze nel 1822. Entrò agli Uffizi nel 1913.
    Il tema della presentazione al Tempio di Gesù è trattato con grande originalità e conferma la grande inventiva di Ambrogio, la cui firma si trova sulla cornice: "AMBROSIVS LAVRENTII DE SENIS FECIT HOC OPVS ANNO DOMINI MCCCXLII".
    Il centro della scena è occupata dall’evento della Presentazione al Tempio, cerimonia che la religione ebraica prevedeva dopo 40 giorni dalla nascita di ogni bambino maschio per consentire alla madre di purificarsi.
    Al centro, entro lo spazio delimitato dalle due colonnette in primo piano, troviamo i tre personaggi più importanti: la Madonna (che tiene nelle mani il telo in cui era avvolto il Bambino), il Bambino (con i piedini irrequieti e il dito in bocca), e Simeone il Giusto (raffigurato nell’intento di proferire parola dopo aver preso in braccio il piccolo). All’estrema sinistra troviamo Giuseppe, preceduto da due accompagnatrici (l’assenza dell’aureola indica l’assenza di santità di quest’ultime). All’estrema destra troviamo invece la Profetessa Anna che dispiega un cartiglio entro cui leggiamo un messaggio in latino così traducibile “Ed ecco, sopraggiunta proprio in quel momento, [Anna] si mise anch’essa a lodare Dio e parlava del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Israele” (Vangelo secondo Luca, 2, 38).
    Dietro l’altare vediamo un sacerdote con i colombi da sacrificare nella mano destra e il coltello del sacrificio nella sinistra. Sull’altare, davanti a lui, arde la fiamma del sacrificio. Il sacerdote sembra ascoltare un altro sacerdote alla sua sinistra, mentre un terzo sacerdote è visibile ancora più a sinistra, dietro il pilastro.
    Vero protagonista di tutta la scena è Simeone il Giusto, ben ritratto nella sua vecchiaia, intento a contemplare il Bambino che ha in braccio e con la bocca aperta a dare il suo messaggio che apprendiamo dal Vangelo secondo Luca: “Ora, Signore, puoi lasciare che il tuo servo muoia in pace perché, secondo la tua promessa, i miei occhi hanno visto la salvezza che tu hai preparato per tutti i popoli della terra” (Luca, 2, 29-31). Ambrogio Lorenzetti ha voluto ritrarre proprio questo momento solenne di tutta la scena della Presentazione al Tempio.
    La scena è ambientata all'interno di una chiesa a tre navate. Il dipinto, che era il pannello centrale di un trittico di cui sono andati perduti i pannelli laterali, possiede esso stesso la forma di un trittico, scandito dalle tre navate dell'edificio e dagli archetti trilobati nella parte superiore. La stessa cornice, dove in basso si trovano la firma e la data, è dotata di pilastrini ai lati, che aumentano l'effetto architettonico illusorio. La profondità è suggerita dalle colonnine digradanti e dal pavimento marmoreo a quadri.
    Sopra i sacerdoti troviamo l’arco trionfale con un dipinto nel dipinto: due angeli che reggono un clipeo col Cristo benedicente, una raffigurazione anacronistica considerando che nella scena principale il Cristo è solo un infante. Altri profeti che dispiegano i loro cartigli sono visibili, più piccoli, sulle lunette delle navate laterali, mentre in cima alle colonnine che delimitano anteriormente tutta la scena sono raffigurate due piccole statue di Mosè, con le tavole della Legge, e Giosuè, con il sole in mano. Ancora più sopra, oltre i tre archi ad intarsi marmorei e il fregio di draghetti, abbiamo una serie di angeli dorati e marmorei che reggono una ghirlanda.
    Sullo sfondo troviamo il tiburio e la lanterna. Per la presenza di quest’ultimi, delle statue di Mosè e degli angeli, degli archi a tutto sesto anteriori a costituire una sorta di facciata, e per le tre navate in stile gotico, l’ambientazione architettonica ricorda il Duomo di Siena.
    Molto significativa è la presenza, negli spicchi dell’arco centrale in alto, di Mosè e Malachia. I loro cartigli riportano messaggi in latino. Il primo è così traducibile: “Se le sue possibilità non sono sufficienti per offrire un agnello prenda due tortore o due colombi, uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio espiatorio” (tratto dal Levitico, 12, 8); il secondo: “Subito verrà al suo tempio il Signore che voi bramate, e l’angelo dell’alleanza che voi sospirate di vedere” (tratto da Malachia, 3, 1). I due messaggi recano il tema della Purificazione e quello della Redenzione, centrali nell’Evento della Presentazione al Tempio.
    Negli spicchi degli archetti laterali troviamo cherubini rossi con raggi di luce.
    Il dipinto è realizzato secondo lo stile dell’ultimo Ambrogio Lorenzetti, quello della maturità artistica degli anni senesi (dopo il 1335). La piastrellatura del pavimento e lo sviluppo in profondità delle navate della chiesa mostrano infatti un'acquisita familiarità nella resa prospettica ereditata dalla scuola di Giotto, reiterando le indubbie capacità del Lorenzetti di dipingere le complesse prospettive già evidenti nelle Storie di san Nicola del 1332 circa (oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze). Tuttavia, non si può ancora parlare di prospettiva matematica, invenzione del Rinascimento del XV secolo: se il pavimento ha infatti un unico punto di fuga, esso è diverso da quello dei muri perimetrali o da quello della linea d'imposta degli archi. In questo dipinto la scena è inoltre ambientata nelle tre navate di una chiesa, in uno spazio che, scurendosi via via che ci si allontana, crea un effetto di profondità inedita per la pittura toscana, che sembra anticipare le conquiste dei fiamminghi, come la Madonna in una chiesa gotica di Jan van Eyck (Erwin Panofsky, 1927).
    Anche i chiaroscuri dei volti e del panneggio mostrano le influenze giottesche che Ambrogio Lorenzetti aveva acquisito negli anni di permanenza a Firenze (prima del 1332). Le figure sono dipinte come masse compatte, con le vesti in colori brillanti sfumati in base al diverso cadere della luce, dando così uno straordinario senso di plasticità e volume. I volti sono invece resi secondo le inconfondibili fisionomie di quest’artista. Così come "lorenzettiana" è la raffigurazione del Bambino, con i piedini irrequieti e con il dito in bocca a sottolinearne l'umanità.

     
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  8. @Ambra@
     
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    Veduta di città sul mare - Pinacoteca di Siena
    Tempera e olio su tavola - cm 22,5 x 33,5


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    Le due tavolette in esame, sono probabilmente il primissimo esperimento di raffigurazione a tema paesistico a livello europeo.
    Le torri, inconcepibilmente elevate e dal cromatismo rosato, i tetti cesellati a quadretti, gli edifici con le finestre scarne, le strade deserte e l'aspra atmosfera – fredda, tersa e statica – fanno di questo piccolo porto, sicuramente senese (probabilmente Talamone), una visione da fiaba di un fascino indescrivibile.



    Un castello in riva ad un lago - Pinacoteca di Siena
    Tempera e olio su tavola - cm 22,5 x 33


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    Si pensa che i due dipinti dovettero subire, all'epoca, l'umile impiego come quello di ornare qualche mobile o chiusura di cofano.



    Edited by @Ambra@ - 30/5/2012, 22:54
     
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  9. @Ambra@
     
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    Ambrogio Lorenzetti - Madonna col bambino, 1325 circa
    Tempera e oro su tavola, 85×57 cm - Pinacoteca di Brera, Milano

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    Probabilmente il dipinto era l'elemento centrale di un polittico, come nelle opere coeve di Duccio di Buoninsegna e dello stesso Ambrogio.

    Non si hanno notizie della tavola prima della fine dell'Ottocento, quando la signora Helbig l'acquistò dal mercato senese per la propria collezione. Tra il 1926 e il 1930 la tavola fu acquistata dal collezionista Guido Cagnola e da questi donata alla Pinacoteca Brera nel 1947. L'opera è oggi in un cattivo stato di conservazione, dovuto anche a una cattiva pulitura eseguita in antico.
    L'opera non è firmata, né datata dall'artista. L'attribuzione ad Ambrogio Lorenzetti è stata proposta per la prima volta da Guido Cagnola nel 1908 su basi puramente stilistiche e da allora generalmente accettata da tutta la critica.
    Maria, vestita di un ricco panneggio in broccato, tiene dolcemente tra le mani il Bambino, che è fasciato strettamente in un panno bicolore, da cui sporgono, oltre alla testa, una manina e i due piedini, vivacemente sgambettanti, tratti dall'osservazione dal vivo dei bambini. Il tipo di manto, raro nella pittura senese del tempo, mostra la mano di un grande maestro che rifiutava la semplificazione convenzionale di applicare un motivo indipendentemente dalle pieghe dal panneggio: il motivo vegetale della decorazione infatti si deforma a seconda dell'andamento della stoffa, come è ben evidente sul velo che copre la testa. L'acconciatura di Maria mostra una treccia raccolta attorno al capo, come usava tra le nobildonne dell'epoca.

    La fisionomia del Bambino è vicinissima a quella della Madonna di Vico l'Abate, opera giovanile dalla forte monumentalità scultorea: in questa tavola di poco successiva si nota già un adattamento dei modi dell'artista a schemi più aggraziati, con figure più allungate e dettagli più morbidi, come le affusolate mani di Maria. Si tratta quindi di una via di mezzo tra quella prima opera e il successivo Trittico di San Procolo agli Uffizi.

     
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8 replies since 12/1/2012, 15:44   3814 views
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