Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Vita e Opere

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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Dodici proverbi

    1558 - olio su tavola - 74,5x98,4 cm - Anversa, Museo Mayer van den Bergh


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    Nei Dodici proverbi del 1558 (opera che potrebbe essere solo una copia di un originale di Bruegel, e sulla cui autenticità comunque non tutti gli studiosi concordano), l'artista adotta una soluzione compositiva piuttosto insolita per un quadro su tavola. Dodici immaginette, in origine separate e usate solitamente a mo' di piatto, fungono da siparietto ad altrettante messe in scena dei rispettivi proverbi a cui fanno esplicito riferimento.

    A partire dal primo ordine, da sinistra, si incontrano:
    1. "Bere di continuo, anche da ubriachi, induce in povertà, disonora il nome e mena alla rovina"
    2. "Io sono un opportunista, d'un genera tale per cui voglio sempre il mantello dove il vento spira"
    3. "Porto il fuoco in una mano, l'acqua nell'altra, e passo il tempo con pettegoli e donnette" (cioè seminare discordia usando una doppia faccia)
    4. "Nel fare baldoria nessuno mi stava alla pari; adesso, finito in miseria, me ne resto fra due sedie, seduto sulla cenere" (finire in miseria per l'indecisione)
    5. "Il vitello mi guarda con occhio smarrito; che serve se chiudo il pozzo quando ormai è annegato?" (cioè è inutile provare rimorso tardivo se non giova a niente)
    6. "Se a qualcuno piace faticare inutilmente, getti rose ai porci" (come il proverbio italiano "Gettare le perle ai porci", cioè fare buone azioni per chi non se le merita)
    7. "L'armatura fa di me un buon guerriero e attacco un campanellino al gatto" (cioè la tenuta militare rende arditi anche i paurosi, e la poca discrezione rende i piani segreti noti)
    8. "La fortuna del vicino mi strazia il cuore; non sopporto che il sole si specchi nell'acqua" (cioè l'invidia impedisce la felicità)
    9. "Sono bellicoso, fiero e iracondo; perciò batto la testa nel muro" (cioè l'iracondo è causa dei propri guai)
    10. "A me tocca il magro, il grasso agli altri: e pesco sempre fuori dalla rete" (cioè l'incapace si arrabbia invano)
    11. "Mi copro con un mantello celeste; ma quanto più mi nascondo, tanto più mi riconoscono" (cioè l'infedeltà della moglie rende famoso, suo malgrado, il marito)
    12. "A qualunque cosa io miri, non riesco mai a ottenerla: orino sempre contro la luna" (cioè non si devono nutrire aspirazioni troppo alte)
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Proverbi fiamminghi

    1559 - olio su tavola - 117x163 cm - Berlino, Gemäldegalerie


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    Un intero villaggio illustra ben centoventi situazioni legate ad altrettante locuzioni popolari. L'adozione di una fuga prospettica fuori asse, spostata tutta sulla destra del quadro e assolutamente desueta rispetto ai canoni della tradizione rinascimentale, contribuisce a spiazzare l'osservatore, trasmettendogli quella sensazione di "mondo alla rovescia" che, sul piano dell'esposizione delle scene, trova riscontro nell'assoluta mancanza di filo narrativo principale.
    Nell'intera composizione risaltano soprattutto i colori rosso e blu, che evidenziano i vizi peggiori e le scelte meno razionali. Il rosso rappresenta infatti il peccato e l'azzurro l'inganno, o la follia.
    La maggior parte dei personaggi ha quell'espressione attonita, senza vita, che si ritrova anche in altre opere dell'artista. L'orchestrazione spaziale è condotta con maestria anche grazie all'uso del colore, che schiarisce all'allontanarsi dei piani, per effetto della foschia, come si vede nell'apertura marina in alto a destra.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Combattimento tra Carnevale e Quaresima

    1559 - olio su tavola - 118x164,5 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    particolare

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    particolare

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    particolare



    Il Carnevale come mito popolare e rito antropologico, in cui si fondono l'esaltazione della fertilità e dell'abbondanza e il fluire distruttore e rigeneratore del tempo, offre a Bruegel il pretesto per realizzare, nel 1559, una delle sue opere più celebri e celebrate: Combattimento fra Carnevale e Quaresima. memore forse dei pittoreschi spettacoli di festa, consumati durante questo periodo dell'anno per le strade di Anversa o per i borghi delle campagne, in questo dipinto l'artista introduce una delle sue più esplicite invettive contro le accuse che il cattolicesimo muove alla Riforma: essere foriera di vizio, diffondere tra la gente la religione pagana del piacere e del divertimento. Non a caso, la critica che più ha insistito nel ricavare dalle opere dell'artista fiammingo interpretazioni negative e moraleggianti dell'oscurantismo del suo tempo ha identificato nei due protagonisti della lotta - l'obeso Carnevale e l'allampanata, malaticcia Quaresima - le personificazioni rispettivamente della chiesa luterana e di quella cattolica. In primo piano, quasi con la funzione teatrale di apriscena, si stagliano le figure simboliche dei due contendenti. Sulla sinistra, panciuto e tronfio, brandendo un lungo spiedo con ancora infilzati gli avanzi di un banchetto, Carnevale avanza a cavallo di una botte posata su una specie di slitta azzurra. È lo stesso colore della barca che compare nell'insegna dell'osteria in secondo piano a sinistra e che ad Anversa esisteva davvero, ritrovo di una compagnia di commedianti di strada che organizzava proprio gli spettacoli del Carnevale. lo accompagnavano varie figure in maschera, compunte e tutt'altro che allegre. Sulla destra, invece, prostrata dall'inedia, su un carretto trainato da una monaca e da un frate che conversano tra loro, Quaresima oppone la debole arma di una pala da fornaio con due aringhe striminzite: riferimento ai tempi di magra che tornano, simboleggiati dall'arnia (il miele è un cibo quaresimale) che le copre goffamente il capo.
    Adottando ancora una volta la prospettiva panoramica a volo d'uccello, che consente allo spettatore di abbracciare con lo sguardo l'insieme affastellato di persone e situazioni sospese sempre tra l'assurdo e il drammatico, Bruegel frantuma la centralità della narrazione (le due figure principali), preferendole un incedere rapsodico che si anima nella miriade di episodi e scenette diffusi capillarmente all'interno dello spazio della rappresentazione. Alla stregua dei cantastorie che nelle piazze guidavano le folle durante gli spettacoli, Bruegel inserisce nel mezzo del quadro la figura del folle, diffusissima nella letteratura e nelle arti figurative sin dal Medioevo. Alla sinistra del pozzo, agghindato con un costume per metà rosso e per metà a righe verdi, questa sorta di folletto conduce una coppia di spettatori, facendosi luce con una torcia in pieno giorno. Ancora un richiamo all'assurdità di un mondo che vede capovolto in modo ridicolo ogni ordine e possibilità di senso.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Giochi di fanciulli

    1560 - olio su tavola - 118x161 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    BRU_-_CHD_09
    Cavalcare la recinzione
    BRU_-_CHD_20
    Morra
    BRU_-_CHD_63
    Pertica fissa



    L'ironia mordace e il senso parodistico della rappresentazione dell'uomo e del suo mondo costituiscono in Bruegel il tratto più originale di uno stile pittorico che indugia con attenzione minuziosa su spaccati della realtà prima assolutamente trascurati. In Giochi di fanciulli egli si concentra per esempio su un tema, l'infanzia, che nella storia dell'arte precedente di solito è stato frequentato attraverso rappresentazioni della mitologia classica o la ritrattistica ufficiale.
    Seguendo la consueta impostazione scenica apparentemente caotica e ricca fino all'inverosimile di episodi, l'artista illustra qui un momento della vita di un immaginario villaggio abitato unicamente da bambini. Se ne contano ben duecentocinquanta, intenti in quella che pare un'enumerazione enciclopedica dei vari giochi e passatempi.
    Al di là del valore allegorico - il dipinto come un monito agli adulti che dissipano il senso dell'esistenza in occupazioni futili - il quadro ha importanza anche come documento storico, consentendoci di approfondire la conoscenza diretta di un mondo e di un'epoca in cui l'infanzia costituiva un passaggio della crescita dell'uomo piuttosto che un momento di delicata preparazione all'età adulta. Il mondo ludico e affettivo del bambino come successione di stadi della crescita individuale e sociale acquisterà infatti un suo completo riconoscimento solo a partire dal Settecento. Le testimonianze, e non soltanto figurative, precedenti a quell'epoca di svolta sono assai scarse. In tal senso il dipinto di Bruegel è forse uno dei testi visivi più preziosi a proposito di questa materia, poiché descrive un fenomeno centrale dell'evoluzione umana attraverso immagini sospese tra materialità (i giocattoli) e gesti simbolici (i giochi).
    Il quadro restituisce inoltre mirabilmente le tracce del percorso d'appropriazione e di conoscenza del mondo adulto che il bambino compie investendo l'ambiente circostante e le cose che si trova attorno con la propria fantasia, ricavandone significati che stravolgono quelli riconosciuti come consueti dagli adulti. La meccanicità delle situazioni, la plastica rappresa dei corpi che li rende simili a dei fantocci, parenti stretti delle maschere umane che affollano tanti altri quadri di Bruegel, rimandano come abbiamo detto a un'allusione allegorica: la finzione del comportamento adulto presente nelle situazioni di gioco infantile è lo specchio di quell'insensatezza colpevole, di quel disimpegno, che governano le relazioni della società.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - La discesa di Cristo al limbo

    1561 - 29,2 cm x 21,2 cm (parte figurata) - Vienna, Albertina


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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Dulle Griet (Margherita la pazza)

    1561 - olio su tavola - 115x161 cm - Anversa, Museo Mayer van den Bergh


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    Margherita la pazza

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    La bocca antropomorfa dell'Inferno

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    Gigante



    Il titolo dell'opera cita, stravolgendola, la leggenda folkloristica secondo cui santa Margherita vinse il diavolo. Armata e quasi vacillante per il peso del suo bottino, la donna procede spedita verso le porte dell'inferno in un paesaggio di costernata desolazione. Alter ego di questa mostruosa eroina, dalle fattezze non molto dissimili da quelle della Quaresima, il gigante che sorregge la barca sormontata dalla sfera defeca monete aiutato da un cucchiaio. Come Margherita accumula tesori, così egli li disperde al popolo: in un incessante produrre e consumarsi di destini tra loro opposti. Capolavoro gravido di simbologie complesse e di controversa decifrazione, Dulle Griet è avvicinabile a quei temi e a quelle suggestioni della pittura di Bosh di cui erano ancora intrise le opere di Bruegel di questo periodo.
    Vi è però, nella resa più realistica dell'ambientazione naturale e nella scelta drammatica dei colori, un elemento di differenziazione che separa nettamente dal punto di vista stilistico i due artisti. Uno scarto, quello operato da Bruegel attraverso l'esaltazione dei motivi naturalistici e della profondità spaziale ottenuta con le variazioni cromatiche, che gli deriva dall'esempio di un pittore appartenente alla generazione precedente: Joachim Patinier (1475/85-1525). Anch'egli fiammingo, era stato proprio lui a introdurre la prospettiva aerea usata tanto spesso da Bruegel. Ed era stato ancora Patinier a diffondere una tecnica di rappresentazione del paesaggio che si serviva della profondità cromatica, dell'alternanza talvolta ardita di scri e chiari, per esaltare una spazialità ambientale di notevole effetto.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Caduta degli angeli ribelli

    1562 - olio su tavola - 117x162 cm - Bruxelles, Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique


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    La caduta degli angeli ribelli con Dulle Griet e il Trionfo della Morte, simili per dimensioni e per richiami evidenti al mondo di Bosch, fu probabilmente dipinta per un medesimo committente e destinata a formare una serie.
    Con questo capolavoro la deriva grottesca di Bruegel è ormai inarrestabile. Nel rappresentare la classica storia della sconfitta di Lucifero per mano dell’Arcangelo Michele, Bruegel infatti pesca a piene mani dalla tradizione boschiana, creando un inestricabile groviglio di corpi, oggetti e animali impegnato in una sarabanda chiassosa e infernale. Nelle tela sono ben visibili solo gli angeli, stilizzati secondo i canoni della tradizione medievale; sotto di loro si stende invece una massa confusa di mostri e rettili che invade letteralmente la scena, suscitando repulsione e ammirazione negli occhi dello spettatore. Ci sono teste umane con ali di farfalla, pesci dalle zampe di rospo, gigantesche ostriche deformi, strani demoni in armatura…E’ una vera e propria “anticreazione”, resa con una spettacolare gamma cromatica. Il vecchio Bruegel è praticamente all'apice del proprio vigore artistico.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Trionfo della Morte

    1562 - olio su tavola - 117x162 cm - Madrid, Museo del Prado


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    Dei quadri “a figura piccola” Il trionfo della Morte è forse il più ricco. La scelta del soggetto si riallaccia alla tradizione iconografica nordica della danza macabra, con contaminazioni “italiane” che Bruegel potrebbe aver ricavato direttamente dal suo viaggio in Italia di dieci anni prima, che spiegherebbe oltretutto l’allineamento iconografico di certi brani della tavola con gli affreschi di palazzo Sclafani a Palermo, città forse visitata dall’artista fiammingo durante il suo peregrinare nel Sud della penisola.
    In una landa illuminata da una luce crepuscolare, la Morte girovaga su un ronzino pelle e ossa nella sua caccia a quel che resta della vita. Ciò che più colpisce è la straordinaria abilità con cui Bruegel restituisce quest’immagine fantastica della Morte che sopraggiunge spazzando tutto via. La sua è una terra senza tempo, anzi una terra che vive il tempo immoto della catastrofe, della fine: navi in procinto di affondare, fumi, bagliori, alberi cadaverici. Ogni personaggio è colto nella sorte dell’ultimo istante, nell’ineluttabilità di un destino che non conosce disparità di censo: dall’imperatore al papa, dal nobile al contadino. Non vi è qui però alcuna intima affinità con le movenze visionarie care alla pittura di Bosh. Più che riprendere a calco il modello di certe sue composizioni, riecheggiandole stancamente, Bruegel pare semmai meditare sull’immaginario spettrale, demoniaco, di Bosh, rielaborandolo in maniera autonoma. E lo fa, come abbiamo notato per opere precedenti, a partire dall’esaltazione realistica dell’elemento naturale, dalla modulazione monotonica dei colori, che in questo capolavoro si riduce magistralmente a una variazione drammaturgica di scuri.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Suicidio di Saul

    1562 - olio su tavola - 33,5x55 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    Dettaglio



    Il punto di vista posizionato in alto, a dominare la scena di battaglia, consente all’artista di imprimere tragicità all’azione scenica e all’episodio biblico. La vicenda è quella della morte di Saul, re d’Israele, che dopo la sconfitta patita contro i Filistei sul monte Gilboa chiede allo scudiero di ucciderlo. Al rifiuto del soldato, il re si trafigge da sé con la spada. Il suicidio si consuma su uno sperone di roccia che, al pari del profilarsi montuoso sullo sfondo della gola in cui si stanno scontrando gli eserciti, rammenta gli studi paesaggistici eseguiti da Bruegel attraverso le Alpi durante il suo viaggio in Italia. La battaglia, incastonata e quasi mimetizzata coloristicamente tra le montagne, ha invece un precedente ben preciso: l’analoga impostazione scelta dal pittore tedesco Albrecht Altdorfer (1480 ca.-1538) in La battaglia di Isso (1529). Personaggio di un’intensità melodrammatica, quasi verdiano nella stoica solitudine della sua scelta di togliersi la vita, Saul era stato ricordato anche da Dante nel Purgatorio, scelto dal poeta insieme a Nembrot per rappresentare il peccato di superbia.

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    Albrecht Altdorfer, La battaglia di Isso

     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Due scimmie

    1562 - olio su tavola - 20x23 cm - Berlino, Gemäldegalerie


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    Bruegel ritrae una coppia di scimmie incatenate sulla finestra di una costruzione che dalle spesse mura si intende essere una fortezza. Dietro di esse si stende lontano lo slargo della marina di Anversa, con il porto e le navi in rada. Le due scimmie sono intente a rompere e sgranocchiare noci, incuranti della vista che si apre alle loro spalle. Nel significato iconografico legato alla cultura cristiana, le scimmie alludono alla stupidità e fanno riferimento a vizi quali la superbia e l'avarizia. Le noci, invece, paiono ricordare la morale di un detto popolare fiammingo: "Andare in tribunale per una nocciola". Come dire che la libertà, bene comune per una società civile, in una città come Anversa è stata fatalmente messa a repentaglio dalla bramosia e dagli appetiti di pochi che ne hanno approfittato unicamente per trarne benefici personali.

    "LE DUE SCIMMIE DI BRUEGEL" DI WISLAWA SZYMBORSKA

    Questo di maturanda è il mio gran sogno:
    sul davanzale due scimmie incatenate,
    fuori svolazza il cielo
    e fa il bagno il mare.

    In storia dell'uomo
    balbetto e arranco.

    Una scimmia osserva ironica la scena,
    l'altra sembra appisolata -
    e quando alla domanda resto ammutolita,
    mi suggerisce
    col quieto tintinnio della catena.

     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - La cucina grassa

    1563 - Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique


    Pieter-Bruegel-il-Vecchio-La-cucina-grassa-1563-mm-218-x-286-Museum-Mayer-van-den-Bergh-Antwep-2012

     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - La cucina magra

    1563 - Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique


    Pieter-Bruegel-il-Vecchio-La-cena-magra-1563-mm-220-x-286-Museum-Mayer-van-den-Bergh-Antwep-2012

     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Grande Torre di Babele

    1563 - olio su tavola - 114x155 cm - Kunsthistorisches Museum, Vienna


    800px-Pieter_Bruegel_the_Elder_-_The_Tower_of_Babel_%28Vienna%29_-_Google_Art_Project_-_edited

    800px-Pieter_Bruegel_d._%C3%84._109
    Re Nembrot (dettaglio)

    482px-Pieter_Bruegel_the_Elder_-_The_Tower_of_Babel_%28detail%29_-_WGA3411
    dettaglio

    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Piccola Torre di Babele

    1563 - olio su tavola - 60x74,5 cm - Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen


    765px-WLANL_-_thedogg_-_Toren_van_Babel%2C_Bruegel_%28circa_1565%29

    800px-Turmprozession
    dettaglio

    450px-WLANL_-_Martijn_Streefkerk_-_Detail_Toren_van_Babel_1
    dettaglio



    L'insistenza con cui critica e storiografia artistica si sono accanite a rintracciare contenuti politici nei dipinti di Bruegel trova forse uno degli esiti più convincenti nelle interpretazioni avanzate per le due opere dedicate al soggetto della torre di Babele. La rapida crescita di Anversa è stata accompagnata da un moltiplicarsi di problemi legati all'ordine sociale e alle pressioni imposte dal dominio spagnolo sulle diverse fedi religiose. Bruegel sceglie perciò di evocare i pericoli e le difficoltà di un tempo sospeso tra incertezza e sospetti attraverso la sintesi di questa potente immagine simbolica desunta dalla Bibbia.
    Babilonia, città sede di una nobile civiltà antica, permane infatti nell'immaginario collettivo con i colori tetri del testo biblico, a partire da quel capitolo 11 della Genesi dove entra in scena in un racconto a trame intrecciate. C'è innanzitutto il tentativo di imporre un'etimologia infamante al nome della città: bab-ilu significa "porta di Dio", cioè per sineddoche "città-tempio" sacrale (il plurale più tardo bab-ilani, "porta degli dei", ha dato origine al greco Baby-lon, donde il nostro Babilonia); ma il narratore biblico ricorre al verbo ebraico balal, "confondere", per trasformarla nella città della confusione. C'è poi il tema correlato della diaspora dei popoli, in forme diverse e persino opposte di cultura. E, infine, c'è una riflessione pessimistica sull'urbanesimo, simbolicamente raffigurato dalla costruzione della città e della torre che la sovrasta.
    In realtà, l'autore sacro aveva in mente la celebre zigurrat di Babilonia, capolavoro architettonico denominato simbolicamente Entemenanki, "casa delle fondamenta del cielo e della terra", vero e proprio microcosmo, pietra angolare dell'universo. le sue sette terrazze evocano, infatti, i sette pianeti, mentre il tempio a essa collegato era l'Esagila, cioè la "casa che alza la testa", volendo "toccare il cielo", come dice la Bibbia. È facile intuire la sostanza dell'intera parabola babelica. All'orgoglio imperialistico di imporre una "repubblica" ideale monolitica che abbia "un solo labbro e uguali imprese", come si dice nell'incipit del racconto biblico, Dio entra in scena e sventa questo progetto politico-religioso. Il risultato di questa hybris prometeica che si oppone all'armonia nella pluralità, descritta nel precedente capitolo 10 della Genesi, è paradossalmente antitetico alle intenzioni divine: ci saranno dispersione e confusione, dal monolitismo non si passerà all'anarchia.
    Da questo racconto scaturiscono temi capitali ed eterni quali con ogni probabilità Bruegel ravvisa un monito che da lontano sembra adesso rivolgersi al suo tempo: l'uomo e la sua durata, la necessità e lo spazio, il rapporto con la materia e la tecnica, l'aggregazione urbana e lo sgretolamento dei destini individuali, il linguaggio e le lingue, il fascino e la maledizione dell'incompiutezza. Nella tradizione figurativa a lui precedente le rappresentazioni della torre di Babele sono molto scarse, e in ogni caso prive di quella grandezza immaginativa di cui egli dà prova in questi due capolavori. Il riferimento iconografico più importante è semmai costituito dall'architettura utopica della torre: un impianto monumentale che Bruegel mutua dalle imponenti vestigia romane del Colosseo.
    L'artista doveva certamente avere ammirato l'anfiteatro durante il soggiorno in Italia, ma reminiscenze di quelle e di altre celebri rovine romane erano comunque rintracciabili in una notevole serie di disegni, incisioni, libri che certo Bruegel aveva avuto modo di conoscere. Una di queste era sicuramente una raccolta intitolata Rovine romane, contenente dodici incisioni disegnate da Hieronymus Cock e da lui stampate nel 1551, dunque ancora prima del viaggio italiano del giovane pittore e della sua collaborazione con la stamperia Aux Quatre Vents. Inoltre, durante il trasferimento a Bruxelles, Bruegel era passato con ogni probabilità da Amsterdam, città nella quale doveva aver approfondito lo studio di torri ed edifici, così come pare dimostrare una serie di disegni che, anche se in maniera controversa, gli vengono tradizionalmente attribuiti.
    Bruegel dedica al soggetto biblico due dipinti coevi che differiscono tra loro per composizione e dimensioni: La grande torre di Babele, conservata a Vienna, e la piccola torre di Babele, quasi di metà formato rispetto all'altra, ospitata invece al museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. L'elemento che pare avvicinarle è la medesima intensità espressiva, la straordinaria capacità di evocare atmosfere drammaticamente sinistre pur scegliendo di adottare differenti soluzioni formali che, da questo punto di vista, fanno apparire le due tavole come assolutamente indipendenti l'una dall'altra. Innanzitutto nella scala cromatica: una variazione di colori chiari, in cui giganteggia l'ocra della torre, nel quadro di Vienna; di una luce cupa e funerea quello di Rotterdam, calibrato su tonalità scure che si estendono anche alle nuvole.
    Anche la scelta dei momenti tratti dall'episodio biblico è tuttavia diversa. La piccola torre di Babele allude all'interruzione del progetto, all'acme narrativo della Genesi quando è ormai scoccata l'ora del caos ed è prossima quella della punizione divina. Nella redazione di Vienna, la drammaturgia è invece quella latente di un destino che si deve ancora compiere ma che è già scritto.
    La centralità della rappresentazione della torre è come ridotta da Bruegel, che colloca l'edificio in un'ambientazione ricca di minuziose descrizioni: con l'estensione urbanistica della città a cingere da dietro la torre, di cui si scorgono i labirintici interni, la profusione particolareggiata del cantiere dove si riconoscono i materiali, le macchine edilizie, gli operai al lavoro, e soprattutto la scena in primo piano a sinistra. Non lontano dalla torre, su una spianata che domina dall'alto circondato dai dignitari di corte, re Nembrot segue l'andamento dei lavori illustrati dall'architetto. L'atto di superbia del sovrano pare non risparmiare nessuno, e la sua colpa pare estendersi tragicamente all'insensatezza del gesto compiuto dalle maestranze che si genuflettono al suo cospetto.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Fuga in Egitto

    1563 - olio su tavola - 37x55,5 cm - Londra, Courtauld Gallery


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    Si tratta dell'unica opera sicuramente appartenuta al cardinale Antoine Perrenot de Granvella, amministratore dei Paesi Bassi per Carlo V e collezionista d'arte. Si trova infatti menzionata nell'inventario del 1607. Dopo vari passaggi di proprietà fu messa all'asta a Londra nel 1939 e acquistata dall'Istituto Courtauld.
    La data conferma la vicinanza al "trittico" di ispirazione boschiana, capolavori come Greta la pazza, la Caduta degli angeli ribelli e il Trionfo della Morte, e rappresentò forse una divagazione nell'itinerario creativo dell'artista, che si concentrò soprattutto sullo studio del paesaggio, che domina l'intera composizione. La Sacra Famiglia, con Giuseppe che tira l'asino su cui viaggia Maria col Bambino, è infatti relegata a una stretta fascia in primo piano, mentre scendono la ripa di un declivio affacciato sulla foce di un fiume tra speroni rocciosi, costellata qua e là dalla presenza umana, soprattutto con la cittadina portuale murata. Il senso del movimento delle figure è dato oltre che dalla posa dell'asino, dalla posizione di spalle di Giuseppe, che sta compiendo una torsione per guidare l'animale nella foresta. Questa impostazione delle figure sarà poi ripresa nell'opera il Censimento di Betlemme (1566). I protagonisti, nonostante le piccole dimensioni, vengono fatti risaltare grazie all'uso di colori in contrasto con lo sfondo: la veste grigia di Giuseppe sull'ombrosa foresta e il manto rosso di Maria sulla falda acquifera, posto inoltre al convergere delle linee di forza del doppio declivio del primo piano.
    A destra, sempre in primo piano, sta appesa a un albero secco un'edicola con un idolo rovesciato, simbolo della vittoria di Cristo sul paganesimo, un motivo presente già nei Vangeli apocrifi.
    La veduta si ispira ai paesaggi alpini visti nel viaggio del 1522 circa, con una consistenza ariosa e umida del paesaggio, reso amplificando gli effetti atmosferici e di luce. L'orizzonte è alto, alla fiamminga, e caratterizzato dalla luce dell'alba, che bilancia, coi toni chiari e azzurri, la massa scura e carica della montagna a sinistra.
     
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Salita al Calvario

    1564 - olio su tavola - 124x170 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    BRU-_Calvario_05
    dettaglio

    BRU-_Calvario_01
    dettaglio



    In questo dipinto Bruegel porta a estremo compimento la sperimentazione dei quadri a figure piccole, realizzando l'opera più ricca di personaggi della sua produzione: ben cinquecento, che nella moltiplicazione di situazioni e di episodi secondari rendono quasi appartato il dramma di Cristo che porta la croce attraverso una folla che mostra solo indifferenza o tuttalpiù una distaccata curiosità.
     
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