Jan van Eyck - Vita e opere

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    Jan van Eyck - Ritratto di Baudouin de Lannoy

    1435 ca. - olio su tavola - 26x19,5 cm - Berlino, Gemäldegalerie


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    Il dipinto raffigura Baudouin de Lannoy, ciambellano della corte ducale di Filippo il Buono e governatore della città di Lilla.
    Egli conosceva senza dubbio Van Eyck, poichè entrambi fecero parte della missione diplomatica in Portogallo del 1428, durante la quale vennero fissati gli accordi per le seconde nozze del duca con l'Infanta Isabella. Lannoy potrebbe aver commissionato il proprio ritratto al pittore di corte in occasione del ricevimento dell'Ordine del Toson d'Oro, avvenuto alla fine del 1431. L'Ordine, di stampo cavalleresco, era stato istituito a Bruges dal duca e l'uomo ne indossa al collo l'insegna, con la catena cui è appeso il montone dorato. Il personaggio è raffigurato di tre quarti contro il caratteristico sfondo nero; nel pugno destro stringe con decisione il bastone del comando, mentre la mano sinistra era probabilmente appoggiata con il consueto effetto illusionistico alla perduta cornice. L'elevata posizione sociale del protagonista è inoltre segnalata dal ricco abito di broccato, ornato al collo e ai polsi dai bordi di pelliccia. Il grande cappello è analogo a quello indossato da Giovanni Arnolfini in occasione del proprio fidanzamento ed era dunque un copricapo adattato alle occasioni ufficiali. Attraverso la luce Van Eyck esplora il volto di Lannoy in maniera meticolosa. Il chiaroscuro ne evidenzia l'andamento spigoloso, le asperità della pelle, le rughe del viso e del collo, rivelando l'ormai non più giovane età dell'uomo. Lo sguardo, che non cerca l'incontro con l'osservatore, è duro e distante e la descrizione eyckiana rende efficacemente l'immagine di freddezza di una persona di potere.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di Giovanni Arnolfini

    1435 ca. - olio su tavola - 34,1x27,3 cm - Berlino, Gemäldegalerie


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    Jan van Eyck - Madonna di Lucca

    1436 - olio su tavola - 65,5x49,5 cm - Francoforte sul Meno, Städelsches Kunstinstitut


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    Il nome convenzionale della tavola è dovuto alla sua provenienza dalla collezione di Carlo Luigi di Borbone, duca di Lucca, che ha fatto supporre un originario destinatario italiano, benché nulla sappiamo del committente del dipinto.
    Esso è un ulteriore testimone della predominanza delle rappresentazioni della Vergine all'interno della pittura eyckiana.
    Il culto della Madonna conobbe in Nord Europa, nel Quattrocento, un fortissimo slancio e l'artista stesso doveva esserne particolarmente devoto. Nell'adottare l'allora rara iconografia della Madonna allattante, Jan si ispira certamente a una tavola conservata nella cattedrale di Cambrai e nota come "Notre Dame des Graces", copia senese di un'icona bizantina, ma ritenuta all'epoca di Van Eyck un autentico e miracoloso ritratto della Vergine. La scena è ambientata all'interno di uno spazio angusto, con pochi dettagli, cosicché lo sguardo dello spettatore si concentra interamente sulle figure, senza disperdersi. Non soltanto l'ambiente, ma il tono stesso della rappresentazione è domestico e intimo; l'artista ci pone di fronte a un momento privato familiare, senza intenti rituali o celebrativi.
    Ciononostante, la solennità del prezioso baldacchino ricorda l'eccezionalità dei due protagonisti e i pochi oggetti in vista - i leoni del trono, i frutti sul davanzale, la brocca e il bacile pieno d'acqua - hanno un significato simbolico.
    Se il manto ricamato della Madonna e le mattonelle di ceramica decorata del pavimento servono ad introdurre distanza psicologica tra i personaggi religiosi e lo spettatore, tuttavia quest'ultimo è invitato a partecipare, a "entrare" nella scena, grazie alla scelta di far tagliare il tappeto, la finestra e la nicchia di destra dai naturali confini del quadro: lo spazio dipinto pare così prolungarsi all'interno del nostro e i personaggi sacri risultano fortemente umanizzati.
     
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    Jan van Eyck - Madonna del canonico van der Paele

    1436 - olio su tavola - 141x176,5 cm - Bruges, Groeningemuseum


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    Dopo il polittico di Gand è l'opera più grande conosciuta di van Eyck, il maestro fondatore della scuola fiamminga. Alcuni la indicano come l'esempio più antico di Sacra conversazione, primato che altri invece attribuiscono a opere italiane, come la Pala di Annalena di Beato Angelico (di datazione però controversa).
    L'opera è firmata e datata con una lunga iscrizione: "HOC OP[US] FECIT FIERI MAG[ISTE]R GEORGI[US] DE PALA HUI[US] ECCLESIAE CANONI[CUS] P[ER] JOHANNE[M] DE EYCK PICTORE[M] - ET FUNDAVIT HIC DUAS CAPELL[AN]IAS DE GR[EM]IO CHORI DOMINI - M°CCCC°XXXIIIJ° C[OM]P[LE]T[UM] AU[TEM] 1436" (Joris van der Paele, canonico di questa chiesa, incaricò di questa opera il pittore Johannes van Eyck e fondò due cappelle nel lato del coro nel 1436. Terminato nel 1436).
    La datazione è confermata anche da documenti storici, che confermano il ruolo di van der Paele in quegli anni e che l'opera fosse destinata a decorare l'altare che avrebbe ospitato il suo sarcofago.
    La Vergine è assisa in un trono col bambino sulle ginocchia che le porge o prende un mazzolino di fiori bianchi e rossi, simbolo della purezza della Vergine e preannuncio del sangue della Passione; inoltre tiene un pappagallo, simbolo di purezza e innocenza. Il trono è posto sopra alcuni gradini coperti da un prezioso tappeto turco ed è decorato da alcune sculture dell'uccisione di Caino e di Daniele e il leone, richiamo all'Antico Testamento ed alla dannazione dell'umanità che viene riscattata dal sacrificio di Cristo. I motivi geometrici del tappeto enfatizzano la profondità prospettica del dipinto.
    La scena è ambientata in un coro di una chiesa, del quale si vede bene il deambulatorio separato da colonne in marmi preziosi con capitelli istoriati. Lo stile dell'architettura non è contemporaneo, anzi si rifà al romanico, come in altre opere dell'artista, perché desidera rievocare un ambiente antico e senza tempo, come un tempio ebraico. Il manto della Vergine è pesante e ricco di increspature ben definite dalla luce, e dà l'impressione di proiettarsi, tramite gli stessi colori del tappeto, verso lo spettatore. La stessa linea dell'orizzonte alta, lo sfondo interrotto in maniera apparentemente casuale e la disposizione avvolgente dei santi ha l'effetto di trascinare lo spettatore dentro la rappresentazione, piuttosto che lasciarlo passivamente fuori come nelle opere del Rinascimento italiano.
    L'importanza che le vesti rivestono nell'opera può anche adombrare un richiamo alla principale fonte di ricchezza di Bruges, cioè il commercio dei tessuti di lusso.
    La luce, che indaga i minimi particolari, arriva da più fonti, come le finestre sullo sfondo e soprattutto dal davanti, illuminando i personaggi principali a beneficio dello spettatore. Gli effetti dei vividi rilessi sui materiali preziosi sarebbero stati impensabili senza l'ausilio della tecnica della pittura a olio.
    A sinistra si trova san Donato, titolare della chiesa, abbigliato con un ricco pallio, la mitria, il bastone pastorale e un candelabro con la candela accesa, simbolo dell'offerta cristiana; a sinistra invece si trova san Giorgio, con l'armatura, patrono del canonico che si trova inginocchiato accanto a lui, mentre fa un gesto di presentazione alla Vergine e si toglie l'elmo in segno di deferenza (un gesto che venne copiato nell'ex voto di Carlo il Temerario nel Tesoro di Liegi, 1467).
    Il ritratto del canonico, caratterizzato da un estremo realismo, non ha esempi paragonabili nella ritrattistica europea del primo Quattrocento. È al tempo stesso fortemente individuale, psicologico e simbolico, grazie agli strumenti che tiene in mano, che certificano la sua posizione, come gli occhiali e il libro da erudito. A differenza delle figure sacre, come di consueto, la sua persona è ritratta con notevole realismo, grazie alle fini velature della pittura ad olio, con cui il pittore poté raffigurare i più minuti dettagli dell'epidermide.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di Jan de Leeuw

    1436 - olio su tavola - 24,5x19 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    Jan van Eyck - Santa Barbara

    1437 - grisaille, olio su tavola - 31x18 cm - Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten


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    Santa Barbara non è un dipinto, bensì un disegno definito nei minimi particolari, con un cielo delicatamente acquarellato. Si tratta di uno studio preparato per un quadro o di un lavoro finito? L'incertezza nasce dalla presenza della cornice originale, che l'artista ha firmato e datato 1437 e che farebbe dunque pensare a un'opera conclusa. Non esistono però confronti con analoghi disegni eseguiti su tavola e non su carta e gli esami dei vari dipinti all'infrarosso, che rende trasparenti i colori permettendo di vedere al di sotto di essi, hanno inoltre dimostrato che i disegni fiamminghi che venivano poi coperti con lo strato pittorico erano assai infiniti. L'eccezionalità dell'opera risiede anche nell'accostamento tra un primo piano monumentale e uno sfondo densamente narrativo, in cui l'occhio dell'osservatore è chiamato a soffermarsi su ogni dettaglio. Santa Barbara siede su un'altura, intenta a leggere un poderoso volume; la testa è leggermente piegata a lato, mentre la foglia di palma allude alla sua morte di martire. La giovane che rifiutava di sposarsi, fu rinchiusa dal padre in una torre e venne successivamente uccisa. Con geniale fantasia Van Eyck trasforma il luogo del martirio in un torrione gotico in costruzione, che giganteggia in mezzo alla campagna, La piana alle spalle della santa si popola così di una miriade di piccole figure indaffarate, intente a trasportare materiale, a sgrossare la pietra o, semplicemente ad ammirare l'opera.
    Non si tratta di una rappresentazione inventata, ma della descrizione di un vero cantiere: oltre a scalpellini e operai, Van Eyck ha rappresentato l'architetto con il compasso in mano, intento a eseguire calcoli a destra della torre. L'artista non si accontenta di sovrapporre i due momenti, ma prolunga lo spazio all'infinito, con una successione di borghi e colline.
     
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    Jan van Eyck - Trittico di Dresda

    1437 - olio su tavola - 27,5x37,5 cm - Dresda, Gemäldegalerie


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    Il piccolo altare portatile mostra al centro Maria con il bambino Gesù, sulla sinistra San Giorgio e il donatore, mentre a destra si trova santa Caterina d'Alessandria. Il dipinto è chiudibile e sul retro delle ante è rappresentata l'Annunciazione in grisaille. La cornice marmorizzata è originale e reca iscrizioni all'interno.
    La scena interna è ambientata in una chiesa romanica inondata dalla luce che proviene da più aperture. Ricchissima e variegata a seconda dei materiali è la resa dei dettagli, possibile solo con la tecnica della pittura ad olio. Le numerose statue e i bassorilievi dipinti concorrono anche, col loro valore simbolico, a precisare il significato religioso dell'opera, soprattutto tramite riferimenti all'antico testamento.
    In terra il pavimento, coperto da un prezioso tappeto turco, crea un suggestivo scorcio prospettico, che però è ben diverso da quello dei dipinti del Rinascimento italiano. La linea dell'orizzonte è infatti più alta (da ciò deriva l'effetto "avvolgente" del dipinto) e la scansione spaziale in profondità è più intuitiva che geometrica, infatti a ben notare i personaggi sono leggermente sovradimensionati rispetto all'architettura, anche se ciò non si percepisce a uno sguardo d'insieme.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di Margherita van Eyck

    1439 - olio su tavola - 41,2x34,6 cm - Bruges, Groeningemuseum


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    Jan van Eyck - Madonna col bambino alla fontana

    1439 - olio su tavola - 19x12 cm - Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten


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    La piccola tavola, splendidamente conservata, è una delle ultime opere note dell'artista. Ai piedi della cornice dipinta come finto marmo, sotto il motto scritto con le consuete lettere greche, compare, in latino, l'iscrizione "Johes de Eyck mi creò è portò a termine nell'anno 1439". La ridondanza dei due verbi è alquanto insolita e si riferisce forse alle due fasi di ideazione ed esecuzione del soggetto. Le minuscole dimensioni indicano che il dipinto era indubbiamente destinato alla devozione privata, ma esso fu anche replicato numerose volte, a testimoniare un notevole successo: quasi contemporanea è una copia proveniente dalla bottega stessa dell'artista, ma il soggetto era ancora diffuso e imitato nel Cinquecento. La Madonna, avvolta in un ampio manto blu bordato d'oro, tiene delicatamente in braccio Gesù Bambino, che preme il viso contro quello della madre, abbracciandole il collo con una mano, mentre nell'altra stringe una collana di corallo, simbolo del suo futuro martirio. La dolcezza dell'espressione della Vergine contrasta con la vivacità e il movimento scomposto del neonato; la naturalezza dei due atteggiamenti umanizza le figure bilanciando, con una soluzione simile a quella adottata per la "Madonna di Lucca", l'ufficialità del raffinato drappo di broccato che fa da sfondo alla coppia.
    In questo caso la scena non è però ambientata in una stanza, bensì in un giardino fiorito e il drappo non forma lo schienale di un trono, ma è sorretto da due angeli in volo, le cui ali multicolori si piegano elegantemente, adattandosi ai limiti della superficie dipinta. L'opera è ricca di elementi simbolici: il giardino allude all'hortus conclusus, mentre la fontana di bronzo rimanda contemporaneamente alla caratterizzazione di Cristo quale sorgente di vita e alla definizione della Madonna quale fons hortorum - fontana dei giardini - tramandata dal "Cantico dei Cantici".
     
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    Jan van Eyck - Annunciazione

    1440 circa - olio su tavola - 38,8x23,2 cm - Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza


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    L'opera è un esempio significativo della produzione a grisaille di van Eyck, che rinuncia talvolta all'uso dei colori per creare figure ambivalenti come statue viventi, composte dal solo uso del bianco e del nero. Una rappresentazione simile si trova anche, ad esempio, in due scomparti del Polittico di Gand (1426-1432).
    Le piccole dimensioni dell'opera fanno pensare a un dipinto destinato alla devozione privata, magari da essere portato in viaggio.
    L'iscrizione sulla cornice riporta le parole dell'Angelo e di Maria (Luca 1:26-38). I due protagonisti sono raffigurati su piedistalli e la luce che li colpisce crea effetti di notevole rilievo, con un panneggio frastagliato e dalle pieghe pesanti. La sapienza del Van Eyck nel creare illusioni ottiche si rivela nelle ombre che le figure sembrano gettare sulle cornici di pietra nonché nel loro riflettersi sulla finta superficie lucida e specchiante alle spalle. Maria tiene in mano il tipico attributo del libro (simbolo dell'avverarsi delle Sacre Scritture) ed è visitata dalla colomba dello Spirito Santo. Nonostante l'apparenza di statue le figure sembrano più che mai vive, con una gestualità naturale e con un'apparenza morbida e soffusa delle carni e di dettagli come le ali dell'angelo. Sicuramente il pittore aveva voluto giocare con questa ambivalenza, creando un fine gioco intellettuale che appassionava la committenza. Il retro è marmorizzato.
     
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    Jan van Eyck - Cristo

    1440 - olio su tavola - 33,4x26,8 cm - Bruges, Groeningemuseum


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    Jan van Eyck - Madonna del Certosino

    1441-1443 ca. - olio su tavola trasferita su tela e montata su masonite - 12,5x19,9 cm - New York, Frick Collection


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    Due documenti di archivio hanno permesso di identificare il monaco vestito di bianco con Jon Vos, priore della certosa di Genadedal, presso Bruges, distrutta nel 1578. L'uomo è inginocchiato ai piedi della Vergine e del Bambino affiancato dalle sante Barbara ed Elisabetta. Prima di indossare l'abito certosino, Vos era un membro dell'Ordine Teutonico, associazione religiosa con connotati militari, del quale santa Elisabetta era patrona; anche la scelta di Santa Barbara, protettrice dei soldati, è legata al passato del committente. Vos divenne priore nel 1441, tre mesi prima della morte di Van Eyck, che cominciò l'opera, ma non riuscì a portarla a termine. Una recente analisi con la riflettografia a infrarossi ha mostrato, grazie a una serie di confronti con altre opere, come quest'ultimo sia stato almeno parzialmente eseguito da Jan. Una certa secchezza esecutiva, riscontrabile nel paesaggio, nel corpo di Gesù, o nella corona sorretta da Elisabetta, fa ritenere che il dipinto fu concluso dalla bottega, dopo la morte dell'artista. A sostenere tale ipotesi concorre il carattere di pastiche dell'opera, che combina motivi provenienti da dipinti diversi: se la disposizione dei personaggi ricorda, infatti la "Madonna di Van der Paele", le arcate che si spalancano su un paesaggio a perdita d'occhio sono chiaramente ispirate alla "Madonna Rolin", che è ripetuta però in modo pedissequo e senza eguagliarne la verità atmosferica e luminosa; così la torre attributo di Barbara, ingrandita a dimensioni naturali, si ispira al disegno di Anversa.
    L'opera fu certamente terminata entro il 1443, anno in cui il vescovo Martino de Mayo consacrò tre opere donate al monastero dal nuovo priore, tra cui una identificabile con il dipinto della Frick Collection. L'aspetto piatto e un po' freddo nell'insieme risente indubbiamente delle vicissitudini subite dalla tavola, trasferita in tempi successivi su diversi supporti.
     
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    Jan van Eyck - San Girolamo nello studio

    1442 - olio su carta montata su tavola - 19,9x12,5 cm - Detroit, Detroit Institute of Arts


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    La data riportata sul dipinto è successiva alla morte del pittore (giugno 1441), per cui è probabile che fosse stata lasciata incompleta e finita dai suoi collaboratori dopo la sua scomparsa.
    Alcuni ipotizzano che l'opera sia quella di analogo soggetto citata negli inventari di palazzo Medici a Firenze redatti dopo la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492. Se non si trattasse dell'opera di Detroit potrebbe essere anche un suo prototipo, poiché l'opera non è da tutti ascritta alla mano autografa del pittore fiammingo.
    L'opera mostra san Girolamo nella tradizionale rappresentazione nel suo studio. È vestito con l'abito e il cappello cardinalizio mentre legge un libro, in un piccolo studio pieno di oggetti che testimoniano la sua erudizione ed i suoi interessi. In basso si vede un leone che richiama la leggenda di san Girolamo, secondo la quale egli estrasse una spina dalla zampa dell'animale, che gli rimase poi fedele.
    La luce piove dalla finestra dietro la scrivania e da davanti al santo, in maniera da illuminare i minimi dettagli della scena. Essa simboleggia anche l'"illuminazione" divina della cultura. Nelle scansie e sullo scrittoio si riconoscono una clessidra, un cannocchiale, un rigo, un'ampolla, un astrolabio, numerosi libri e strumenti per la scrittura. In questo senso Girolamo rappresenta il prototipo dell'uomo di cultura del Rinascimento.
     
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