Posts written by Albrecht

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    Inutile cercare “tookah” sul dizionario: per il titolo del suo nuovo disco, Emiliana Torrini ha scelto un nome completamente inventato. Un nome che per lei ha un significato molto particolare: “È l’essenza di ciascuno di noi, il tuo io quando sei nato, prima che la vita ti decorasse come un albero di Natale. È ciò che ti connette con tutto e con tutti”. È a questa essenza che aspira la sua musica. Paradossale che sia proprio “Tookah” l’album in cui l’identità della cantante islandese appare più incerta e meno definita.

    A mettere in contatto Emiliana con il suo “tookah” è stato un fatto ben preciso: la nascita del suo primo figlio. L’esperienza della maternità, però, permea l’album non con la prevedibile gioia dell’affacciarsi di una nuova vita, ma con uno sguardo angoscioso rivolto verso il proprio riflesso nello specchio. “Mi sono sentita come divisa a metà”, racconta. “Era il momento più felice della mia vita e al tempo stesso una parte di me era terribilmente depressa”. Dualismo e bisogno di unità diventano così il nodo cruciale di un disagio la cui eco si diffonde inevitabilmente anche sulla musica.
    A complicare ulteriormente le cose, il successo di pubblico del precedente “Me And Armini” carica Emiliana di una pressione più forte che mai: “Per la prima volta nella mia vita sentivo l’urgenza di far uscire un album. Sentivo il bisogno di realizzare subito un prodotto di successo”. Stavolta, però, la magia non scatta e le prime sessioni di registrazione con lo storico braccio destro Dan Carey sono un completo fallimento. Alle orecchie di Emiliana tutto suona risaputo, già sentito. “A un certo punto Dan mi ha guardata negli occhi e mi ha detto che non ero pronta per fare un disco. È stato un sollievo incredibile sentirmelo dire. Ho fatto un bel respiro e abbiamo deciso di accantonare il progetto”.

    Lo spunto di “Tookah” nasce proprio dalla decisione di fare un passo indietro: “Dopo il parto sentivo semplicemente il bisogno di andare fuori a ballare. Così ci siamo messi a suonare insieme un po’ di musica dance. E ci siamo resi conto che poteva venire proprio da lì il suono del nuovo album”. La scelta, però, è quella di spogliare i brani degli elementi più ballabili: solo il singolo “Speed Of Dark” osa avventurarsi sul dancefloor, tra movenze appena più serrate del solito e languide velleità electro. Il resto dell’album assume toni molto più algidi e introversi, a partire dal tappeto ritmico alla Bat For Lashes della title track.
    D’altra parte, con un concepimento tanto travagliato, non può sorprendere che “Tookah” finisca per rivelarsi un disco irrisolto. Non c’è la facile esuberanza di “Me And Armini”, ma nemmeno la sofferta intensità di “Fisherman’s Woman”. Una mancanza di direzione simboleggiata dalla lunga improvvisazione di “When Fever Breaks” (non a caso il primo brano ad essere stato registrato per l’album), che si avviluppa tra vocalizzi e chitarre circolari senza riuscire a far emergere la propria personalità.

    A segnare la veste sonora di “Tookah” è soprattutto la fascinazione del duo Torrini/Carey per le gelide tastiere che Trent Reznor e Atticus Ross hanno utilizzato per accompagnare le immagini di “The Social Network”. Così, il tentativo di ritrovare un calore familiare a cui aggrapparsi, da “Home” a “Elisabet”, resta avvolto da un velo di brividi sintetici. E anche quando i beat si arrotondano per assumere fattezze più apertamente pop, come nello sfogo amoroso di “Animal Games”, il risultato non riesce a sedurre con gli stessi ganci melodici del disco precedente.
    Il cuore dell’album, allora, è da cercare altrove, nei momenti in cui Emiliana si riavvicina maggiormente alle atmosfere di “Fisherman’s Woman”, inseguendo la rarefatta intimità degli ultimi Goldfrapp. È tra i fraseggi di chitarra e i riverberi di synth di “Caterpillar” e “Autumn Sun” che la cantante islandese confessa il sentimento nascosto tra le pieghe dei brani: la paura. Paura di smarrire una parte di sé, paura di perdere la sicurezza dell’amore, paura di perdere il misterioso legame che unisce una madre al figlio. Quell’incertezza che fa sentire spezzati, come nell’immagine bifronte scelta per la copertina dell’album. Il tempo dell’unità, per Emiliana Torrini, non sembra essere ancora arrivato.

    Tracklist

    Tookah
    Caterpillar
    Autumn Sun
    Home
    Elisabet
    Animal Games
    Speed Of Dark
    Blood Red
    When Fever Breaks

    ondarock

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    Jackson Pollock ma non solo: anche Rothko, de Kooning, Kline. Rivoluzione artistica, rottura col passato, sperimentazione, energia: questo racconta la mostra “Pollock e gli Irascibili”, a Palazzo Reale dal prossimo 24 settembre.
    L’esposizione, curata da Carter Foster con la collaborazione di Luca Beatrice, è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano ed è prodotta e organizzata da Palazzo Reale, Arthemisia Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con il Whitney Museum di New York.
    Attraverso le opere dei 18 artisti, guidati dal carismatico Pollock, e definiti “Irascibili” da un celeberrimo episodio di protesta nei confronti del Metropolitan Museum of Art, il visitatore avrà un panorama completo di un fondamentale stile artistico che seppe re-interpretare la tela come uno spazio per la libertà di pensiero e di azione dell’individuo; uno stile proprio di quella che fu chiamata “la Scuola di New York” e insieme un fenomeno unico, che caratterizzò l’America del dopoguerra e che influenzò, con la sua forza travolgente, l’Arte Moderna in tutto il mondo.
    “Un momento fondamentale che rappresenta il passaggio del testimone dell'innovazione artistica dall'Europa all'America: per la prima volta nella storia infatti non sono Milano o Parigi o Vienna a dettare la linea delle nuove tendenze nel campo delle arti visive, ma una città oltreoceano che grida a gran voce la propria radicale originalità. “– ha commentato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. L'inaugurazione di questa mostra è dunque un perfetto esordio dell'’Autunno Americano’, a cui seguirà un ricco palinsesto di spettacoli ed eventi, musica e danze compresi, diffusi per tutta la città, fino alla fine dell'anno e anche oltre. Un programma che porterà a Milano, il senso, il suono, il passo, di quella cultura americana che è tra i miti fondanti dell'immaginario di ciascuno di noi”.
    La mostra, che consta di oltre 49 capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York, inaugura infatti le celebrazione dell’“Autunno Americano” a Milano che proseguiranno con l’apertura di una grande monografica dedicata ad Andy Warhol a fine ottobre.
    Protagonista indiscussa della mostra “Pollock e gli Irascibili” è l’opera Number 27 di Pollock, forse il suo quadro più famoso, nonché prestito eccezionale, data la delicatezza e la fragilità di questo olio, oltre alle sue dimensioni straordinarie - circa tre metri di lunghezza. Ma il Whitney Museum ha eccezionalmente acconsentito a fare viaggiare quest’opera, alla quale sarà dedicata un’intera sala di Palazzo Reale.
    Le altre opere esposte in mostra coprono un arco storico che va dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Sessanta. Saranno presenti alcuni tra i capolavori più rilevanti della collezione del Whitney, come Mahoning di Franz Kline (1956), Door to the River di Willem de Kooning (1960) e Untitled (Blue, Yellow, Green on Red) (1954) di Mark Rothko, accanto a opere di artisti presumibilmente meno noti, ma rappresentative della loro maturità e, più in generale, della loro epoca. Questa distinzione e questo dualismo sono significativi per quanto riguarda la prassi collezionistica del Whitney, che è stato un precoce e importante sostenitore dell’Espressionismo Astratto, cercando coerentemente di fornire un quadro più diversificato e complesso di ciò che stava accadendo a New York all’epoca. Benché artisti quali Jackson Pollock, Willem de Kooning e Barnett Newman siano stati indubbiamente determinanti nel promuovere l’astrattismo a New York in quel periodo, di pari importanza furono pittori come William Baziotes e Bradley Walker Tomlin, che permettono una narrazione completa, complessa e più diversificata, rappresentativa dell’epoca stessa.

    Informazioni Evento:

    Data Inizio:24 settembre 2013
    Data Fine: 16 febbraio 2014
    Costo del biglietto: 11.00 euro
    Luogo: Milano, Palazzo Reale
    Orario: lunedì 14.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.
    Telefono: 02 54913

    Dove:

    Palazzo Reale
    Città: Milano
    Indirizzo: Piazza Duomo, 12
    Provincia: MI
    Regione: Lombardia

    beniculturali
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    Un gruppo di privati apre uno spazio di settemila metri quadri nella Capitale. E per cominciare ci mette dentro la contemporanea russa. Attingendo dall'Ermitage

    Tempi di musei in crisi, di mostre eccellenti con pochi visitatori, di dispute politiche sulle dirigenze.
    Poi arriva un gruppo di privati e apre quello che si autodefinisce il primo centro culturale del Lazio,
    con settemila metri quadri a disposizione e la prima mostra affidata alla curatela dello storico dell'arte ufficiale dell'Ermitage di San Pietroburgo, quasi a frenare qualsiasi critica sulla qualità dell'operazione.

    A volere il centro sono otto professionisti che operano nel campo della creatività, con tre società associate: un direttore didattico, una direttrice culturale e diversi profili che provengono dal cinema, dall'editoria, dall'architettura, dalla grafica. Si chiamerà "VISIVA - la città dell'immagine" e aprirà nella Capitale, a due passi da San Giovanni, con due giornate di inaugurazione, il 20 e 21 settembre. L'investimento complessivo del progetto, completato indicativamente l'anno prossimo, con la parte dedicata all'architettura, ammonta a circa due milioni di euro.

    Si presenta come uno spazio privato dedicato all'arte tra i più grandi in Italia che "intende valorizzare il processo di crescita del territorio italiano attraverso lo sviluppo dell'imprenditoria culturale e creativa". Si parla di valorizzare il territorio italiano, viene scelta un'artista russa. Per iniziare, infatti, è stata scelta la mostra fotografica "Nuove mitologie" di Olga Tobreluts, curata da Arkadyi Ippolitov, storico dell'arte con grande curriculum, anche di ricercatore all'interno dell'Ermitage di San Pietroburgo. La Tobreluts è nata nel 1970 a Leningrado e i suoi lavori fotografici ricordano un po' quelli del famoso collettivo di artisti russi AES + F, con un'estetica molto elaborata, quasi fredda.

    Come mai una mostra di un'artista russa?
    Auronda Scalera, direttrice culturale di Visiva, ha risposto così: "Sono stati vagliati tantissimi artisti, quando però Angelo Cucchetto di Photographers. it ci ha mostrato le foto di Olga Tobreluts ne siamo rimasti affascinati. L'appellativo di "Elena di Troia con videocamera e computer" dato da Sterling ci ha convinti che era la scelta giusta in quanto rappresenta quel concetto di "Rivoluzione culturale" che è proprio anche di Visiva. Inoltre il lavoro si integra perfettamente con il nostro format didattico che è basato sulla contaminazione tra grafica, cinema e fotografia in una nuova forma di linguaggio visivo".

    Perché affidarsi a un curatore che è uno storico dell'arte non esperto di arte contemporanea?
    In realtà ci piaceva l'idea di mescolare le carte e non essere legati a prassi istituzionali... storia e contemporaneità in questo modo si fondono in un unico progetto. In futuro dialogheremo con queste sperimentazioni sovvertendo ogni regola della curatela in quanto ci piace ragionare per paradossi e spingere sempre più avanti le soglie dell'arte.

    La mostra vede una massiccia presenza di "sponsor" dal Friuli Venezia Giulia: il legame?
    I legami con la regione Friuli partono dalla partnership sviluppata con il CRAF, una delle più antiche scuole di fotografia in Italia. La scelta non è stata affatto casuale e si lega da una parte allo storico del CRAF di Spilimbergo e all'importanza che riveste nel settore, dall'altra al rapporto stretto che collega il "centro di ricerca e archiviazione della fotografia" alla Russia, e che lo rendeva quindi il supporto ideale per la mostra fotografica di Olga Tobreluts.

    All'interno di VISIVA si parla di una biblioteca/bookshop. Ci sono altre informazioni?
    Si tratta di un progetto che partirà con l'avvio di Visiva, una delle più interessanti peculiarità a questo riguardo è la nascita del "Museo One book", si tratta di un progetto innovativo che ci permetterà mensilmente di ospitare un libro raro, introvabile o in copie limitate da poter consultare liberamente.

    repubblica.it
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    Tiziano Vecellio - Baccanale degli Andrii

    1523-1526 - olio su tela - 175x193 cm - Madrid, Museo del Prado


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    In primo piano, a destra, si trova nell'angolo il nudo sensuale di una ninfa-baccante dall'incarnato chiarissimo, citazione colta delle statue dell'Arianna dormiente, col gomito destro alzato e il braccio piegato dietro la testa, una convenzione per rappresentare il sonno. Essa, scrisse Vasari, "è tanto bella che par viva".
    Poco dietro un putto si alza la tunichetta, "piscia in un fiume e si vede nell'acqua", come lo descrisse sempre Vasari, mentre al centro due fanciulle discorrono distese, illuminate dalla piena luce. Una di esse, senza voltarsi, alza il piatto, in cui un uomo nudo versa il vino da una brocca. Un altro uomo le tocca impunemente la caviglia, voltandosi però verso un ballerino che sembra stare per inciampare: egli cita fedelmente un personaggio della Battaglia di Cascina di Michelangelo, quello visibile in basso a destra nella copia di Aristotile da Sangallo. Nonostante il gesto l'uomo e la donna sembrano ignorarsi: il forte senso di bellezza e di gioia, anche erotica, non viene mai turbato da atteggiamenti volgari.
    A destra un uomo grasso, che ricorda Sileno, sta inginocchiato seminudo e beve con voluttà da una brocca, appena riempita dal fiume di vino, dove sta attingendo anche un ragazzo. In secondo piano, nell'ombra del boschetto, si vedono un servitore che porta a spalla un cratere a volute colmo e due cantori. Più a destra si trova il gruppo dei ballerini, tra cui spiccano l'uomo che tenta di fare il giocoliere, reggendo una brocca trasparente colma di vino sulla punta delle dita, e la coppia in piena luce, le cui vesti sono accese in vibranti riflessi materici. Il ragazzo di spalle tiene in mano una corna d'edere, specie sacra a Dioniso, mentre l'altra pianta sacra, la vite, è visibile in alto, arrampicata tra le fronde degli alberi.
    La ballerina in tunica bianca somiglia alla donna in rosso al centro della scena, e a loro volta ricordano le effigi della presunta amante di Tiziano, la donna bionda dai capelli crespi che appare, ad esempio, anche nella Flora o nella Donna allo specchio. Le violette che la figura femminile al centro tiene tra i capelli potrebbero essere un'allusione al nome Violante: una tradizione vuole infatti che quell'amante fosse la figlia di Palma il Vecchio, che aveva appunto quel nome.
    Più in lontananza, sulla collina, si intravedono due uomini che, vicino a un cane, stanno mescendo il vino in un grosso cratere, mentre più in alto, alla sommità, un vecchio stremato giace accasciato e nudo, in una posizione imbarazzante: si tratta di una riflessione moraleggiante che richiama alle conseguenze degli eccessi, legato direttamente al tema biblico dell'ebbrezza di Noè, che ricorda la caducità dell'idillio pastorale. Inoltre la sua lontananza ricorda come in tali attività licenziose si debba lasciare il passo ai giovani, un tema già affrontato da Tiziano nelle Tre età dell'uomo. La presenza del puttino, non a caso, ricrea lungo una diagonale il tema delle tre età dell'amore, assieme ai due ballerini.
    Il legame profondo tra musica e piaceri dionisiaci è testimoniato dal foglio di musica che giace a terra, al centro del dipinto. In esso si legge un giocoso motto francese, che evoca il canone circolare di ripetizione che porta all'ebbrezza:
    (FR)
    « Qui boit et ne reboit
    Il ne scet que boire soit »
    (IT)
    « Chi beve e non ribeve
    non sa cosa sia bere »
    La frase risale con ogni probabilità ad Adrian Willaert, compositore fiammingo in quegli anni a Ferrara.
    Non ci sono tuttavia strumenti musicali che suonano: gli unici strumenti ritratti, al momento inutilizzati, sono solo i flauti diritti, due tenuti in mano dalle ragazze in primo piano e un terzo è a terra poco più indietro, presso un bicchiere colmo di vino, una coppa metallica rovesciata e un vassoio libagioni.
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    Dal 24 settembre Palazzo Pitti ospita una preziosa rassegna di pittura impressionista, con 12 capolavori dal Museo d’Orsay esposti nel Salone da Ballo del Quartiere d’Inverno della Galleria d’arte moderna. I visitatori potranno ammirare due Degas, due Monet, due Cezanne, due Renoir, due Pissarro, un Fantin Latour oltre ad un’ opera di Paul Guigou in mostra potrebbero suggerire ulteriori strade di studio e ricerca tese a mettere in luce alcune possibili contaminazioni tra le due culture francese e toscana, che possono aver costituito un punto di riferimento essenziale anche per le esperienze del nostro Novecento.

    Le opere provenienti dal Museo d’ Orsay troveranno ad accoglierle in mostra due Pissarro Il taglio della siepe e l’Approssimarsi della bufera, oltre ad un piccolo olio di Alphonse Maureau Sulle rive della Senna.

    Informazioni Evento:

    Data Inizio:24 settembre 2013
    Data Fine: 05 gennaio 2014
    Luogo: Firenze, Palazzo Pitti
    Telefono: 055-294883

    Dove:

    Palazzo Pitti
    Città: Firenze
    Indirizzo: Palazzo Pitti (punto d’incontro nel cortile del palazzo
    Provincia: FI
    Regione: Toscana

    beniculturali
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    Julia Holter, ventinovenne di Los Angeles, cantante, polistrumentista, accompagnatrice di molti artisti tra cui Linda Perhacs, è una dei pochi musicisti rimasti a pubblicare regolarmente un disco all'anno. Questo “Loud city song” è il terzo nel giro di non molti mesi e il primo in cui si circonda di numerosi altri musicisti, soprattutto fiatisti, come dice il titolo della terza canzone Horns surrounding me. La musica di Julia è molto diafana e raffinata, così come il timbro della sua voce, molto cristallino, che può ricordare altre divine del rock al femminile, da una giovane Siouxsie, a Kate Bush, passando per Joni Mitchell. Il disco, che comprende canzoni scritte due anni fa, è ispirato dal romanzo di Colette “Gigi”, ma anche dal poeta e curatore del MOMA Frank O' Hara (1926/1966). Nel primo brano, World, scelto come singolo, l'inizio è affidato quasi esclusivamente alla voce, che tratteggia una melodia fragile, accompagnata da un coro a bocca chiusa sussurrato, e anche quando entrano gli strumenti si limitano a un'armonia di fondo. Un'atmosfera magica e sospesa nel tempo, simile a quella del recente album di These New Puritans, anche loro passati per Domino records.

    Evidentemente tra i musicisti dell'ultima generazione c'è un desiderio di fuga dal caos e la ricerca di sonorità che esprimano un mondo diverso. Forse è anche possibile che l'immaterialità delle relazioni attuali, che si svolgono in gran parte sui social networks influenzino un modo di fare musica poco corporeo. Ma queste elucubrazioni non spaventino l'ascoltatore: non è un trattato di sociologia quello che abbiamo sul lettore, ma un disco. E la musica contenuta è molto bella. Certo, è musica particolare, i ritmi nonjulia holter sono mai sostenuti, le percussioni sono poco più che un battito. Anche in brani più incalzanti come la già citata Horns surrounding me l'impianto ritmico è affidato a tutto l'ensemble nel suo insieme. Interessante per il critico anche questa passione delle giovani musiciste per imponenti sezioni di fiati, vedi i recenti lavori di St. Vincent. È invece il contrabbasso a reggere In the green wild, mentre This is a true heart ha un tempo che accenna la bossa nova, con un sax insinuante che sale al proscenio. Musica indefinibile come genere, c'è del jazz, c'è del rock anche senza chitarre elettriche, c'è la sperimentazione e la melodia pop. Proprio per tutti questi motivi è un disco molto riuscito e interessante.

    Tracklist

    World
    Maxim's 1
    Horns surrounding me
    In the green wild
    Hello stranger
    Maxim's 2
    He's running thru my eyes
    This is a true heart
    City appearing

    distorsioni.net
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - La conversione di Saulo

    1567 - olio su tavola - 108x156 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    La conversione di Saulo rappresenta per Bruegel una sorta di ritorno al passato. La scelta di collocare l'episodio tratto dagli Atti degli Apostoli in una gola alpina appare come un tributo reso dall'artista a quella fascinazione per l'orografia di un luogo che a partire dal ritorno dall'Italia "frequenterà" di continuo i suoi dipinti. Anche in questo caso, la possibilità di individuare il soggetto dell'episodio - la caduta da cavallo del futuro san Paolo - è resa quasi impossibile per l'osservatore: Bruegel mimetizza Saul relegandolo in mezzo alla ressa di soldati.
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    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Adorazione dei Magi nella neve

    1567 - olio su tavola - 35x55 cm - Winterthur, Villa Am Römerholz


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    In questo caso Bruegel impressiona per la straordinaria modernità introdotta da uno stratagemma "percettivo": la fitta nevicata, che rende la visione come ostacolata e il racconto cinematograficamente quasi rallentato.
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    Dopo il grande successo di “Renoir. La vie en peinture”, le Scuderie del Castello di Pavia presentano, dal 14 settembre al 15 dicembre 2013, un'altra importante mostra dedicata a uno dei massimi esponenti del movimento impressionista: Claude Monet.

    “Monet au cœur de la vie” è il titolo dell'esposizione promossa dal Comune di Pavia, prodotta e organizzata da Alef – cultural project management con il patrocinio del dell’Ambasciata di Francia in Italia e dell'Institut français di Milano.

    La mostra, a cura di Philippe Cros, presenta una selezione di opere provenienti da prestigiosi musei di tutto il mondo: dagli Stati Uniti d'America come il Columbus Museum of Art (Ohio) alla Francia come il Musée d'Orsay di Parigi, dal Sud Africa come la Johannesburg Art Gallery alla Romania come il Mnar di Bucarest fino alla Lettonia come The Latvian National Museum of Art di Riga e da altre importanti sedi internazionali.

    Il pubblico avrà la possibilità di ammirare importanti lavori di Claude Monet e di ripercorrere le tappe principali della sua produzione artistica dalla formazione fino alla grande maturità.

    Un percorso espositivo innovativo ed emotivo offrirà inoltre al visitatore un'inedita modalità di avvicinamento anche alla sfera personale della vita del Maestro, consentendo al pubblico di scoprire l'”uomo” oltre che il grande artista.

    La mostra è un viaggio nel cuore della vita di Monet, raccontato attraverso le voci di sei personaggi chiave del suo percorso umano e artistico.
    Gli incontri, i successi, così come i momenti difficili sono stati ricostruiti sulla base di preziose lettere - provenienti dal Musée des Lettres e de Manuscrits di Parigi ed esposte in mostra - in cui il pittore racconta particolari momenti e stati d'animo della sua vita.
    Lungo il percorso una serie di suggestive videoinstallazioni predisporranno emotivamente il pubblico a rivivere i momenti fondamentali della vita di Monet e a comprenderne il rapporto con le opere presentate in mostra.
    Le parole e il racconto sono stati pensati in armonia con i video, i suoni e le opere d'arte in modo da creare le condizioni più adatte a sollecitare le emozioni più profonde del visitatore verso una totale fruizione dell'opera di Monet.

    L'esposizione inizia con gli esordi della carriera artistica di Monet narrati da Adolphe Monet, il padre del pittore che ebbe con il figlio un rapporto piuttosto contrastato sia per la sua scelta professionale – soprattutto a causa delle sue idee indipendenti in contrasto con l'insegnamento dell'Accademia – sia per le sue scelte personali e sentimentali.

    Nella sala successiva sarà Eugène Boudin a far immergere il pubblico negli anni giovanili dell'artista, caratterizzati dai primi esperimenti di pittura en plein air e dalle scelte stilistiche innovative in contrasto con la pittura accademica dell'epoca.
    Boudin, pittore francese e primo maestro di Monet, segnò profondamente il modo di fare pittura dell'artista al punto che Monet confesserà:

    “Se sono diventato pittore lo devo a Eugène Boudin.”

    In mostra alcune importanti opere di Boudin mostreranno il ruolo fondamentale del maestro nella formazione di Monet e nello sviluppo del suo stile, come dimostra l'opera Bateaux à Etretat (Barche a Etretat) (1883) in cui l'artista utilizza la stessa tecnica pittorica del suo maestro.

    Attraverso le dolci parole di Camille Doncieux - prima moglie e madre dei due figli di Monet - il visitatore potrà rivivere un periodo fecondo della vita professionale di Monet. Camille ebbe un ruolo centrale nella produzione dell'artista, dal 1860 al 1879, fu la sua musa e modella preferita presente nella maggior parte delle sue tele fino alla prematura morte a soli 32 anni.
    Le gite ad Argenteuil, le passeggiate lungo la Senna e al mare con la famiglia furono molto stimolanti anche dal punto di vista artistico per Monet che consolidò ulteriormente la tecnica della pittura all'aria aperta e lo studio della luce, sperimentando anche nuovi soggetti come Bateaux de pêche á Honfleur (Barche di pescatori a Honfleur)(1866 ca.), La gare d'Argenteuil (La stazione di Argenteuil) (1872) e Printemps (Primavera) (1873), opere esposte in questa sezione.

    Durante il suo percorso artistico, Monet dovette affrontare una serie di avversità dovute alle difficoltà economiche, alle pesanti critiche dei classicisti e ai continui rifiuti da parte dei Salons. Questo periodo particolarmente frustrante per l'artista sarà raccontato da uno dei suoi più grandi sostenitori: Georges Clemenceau, il politico francese - primo Ministro dal 1906 al 1909 e dal 1917 al 1920 - con cui Monet strinse una forte amicizia soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Fu proprio Clemenceau, nel 1921, a commissionare a Monet le celebri Ninfee per l'Orangerie, definite la “Cappella Sistina dell'Impressionismo”.
    In questa sala, che vuole simbolicamente evocare il contrasto tra due differenti sistemi pittorici, il visitatore avrà la possibilità di mettere a confronto la pittura accademica esposta nei Salons rappresentata da opere come Paysage maritime (Paesaggio marittimo) di Jules Breton e Les Pyrénées (I Pirenei) di Marie Rosarie Bonheur – due artisti fortemente apprezzati dalla critica dell'epoca -, con la tecnica innovativa utilizzata dal Padre dell'Impressionismo, rappresentata in mostra da alcune opere emblematiche come le marine Marine, Pourville (Marina, Pourville) (1881) e Le Cap Martin (1884).
    A corredo delle opere sarà esposto il celebre articolo - prestato eccezionalmente per la mostra dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma - di Louis Leroy apparso sulla rivista Chiarivari del 25 aprile 1874 in cui comparve per la prima volta, in senso spregiativo e fortemente critico, il termine “impressionisti”.

    Il racconto prosegue con Alice Hoschedé, seconda moglie di Monet, che narrerà al visitatore dei viaggi intrapresi dall'artista per la continua ricerca di stimoli, ispirazioni e soggetti nuovi da riprodurre, come il soggiorno in Norvegia per la ricerca e lo studio degli effetti della neve. Per quanto in questo periodo - dal 1880 al 1895 - siano nati i più grandi capolavori del Maestro, Monet era continuamente insoddisfatto dei suoi lavori e dei luoghi che visitava.
    Sono gli anni, in cui l'artista abbandona quasi del tutto la rappresentazione della figura umana per concentrarsi sul tema propriamente impressionista del paesaggio, con particolare interesse verso l'alone luminoso che circonda la natura. È proprio in questo periodo che Monet comincia a dipingere le celebri “serie” in cui il ruolo della luce diventa fondamentale per la composizione dell'opera come dimostrano Waterloo Bridge (Il ponte Waterloo) (1900) e la suggestiva Cathédrale de Rouen (La Cattedrale di Rouen) (1894), protagoniste di questa sezione.

    Il percorso espositivo chiude con le parole di Blanche Hoschedé, figlia di Alice e unica allieva di Monet con la quale il pittore instaurò un rapporto molto stretto nell'ultimo periodo - dal 1914 al 1926 - trascorso a Giverny: un luogo magico, in cui l'artista riuscì finalmente ad appagare il suo desiderio di tranquillità rurale.
    Blanche racconterà al pubblico dell'amore ossessivo del pittore per il suo meraviglioso giardino della casa a Giverny, delle loro uscite per dipingere insieme in campagna e dei primi sintomi della cataratta che modificarono sensibilmente la vista, e quindi anche la percezione dei colori, di Monet. Alcune tele di Blanche esposte in questa sezione mostreranno il suo stile impressionista strettamente imparentato con quello del Maestro.
    Negli ultimi anni di vita dell'artista la dimora di Giverny diventò la sua unica fonte di ispirazione: un giardino meticolosamente curato in cui Monet decise di far costruire anche un ponte giapponese, testimonianza del suo interesse verso l'arte del Paese del Sol Levante. In mostra una serie di preziose stampe di celebri artisti come Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige sottolineano il forte legame del pittore con l'arte nipponica.

    La mostra offre quindi diverse chiavi di lettura per un'originale esperienza di visita che consentirà al visitatore di rivivere intensamente la vita e la produzione artistica di uno dei più grandi Maestri di tutti i tempi che ha cambiato per sempre la storia dell'arte.

    Un'esperienza di visita prosegue anche all'esterno dello spazio espositivo, suggerendo al visitatore un itinerario alla scoperta di alcuni dei luoghi simbolo della città di Pavia ricontestualizzati, per l'occasione, in rapporto al percorso artistico di Monet.
    Un percorso ideato per far rivivere alcuni luoghi pavesi molto suggestivi come l'orto botanico del 1700, oppure la bellissima Cattedrale di San Michele, o ancora la storica Biblioteca Civica Bonetta e i giardini Malaspina, e in ultimo il Ponte Vecchio sul fiume Ticino. In ciascuno di questi luoghi il visitatore potrà riprendere la lettura del racconto dei sei personaggi riproposto in un'ambientazione reale.

    “Ospitare la pittura di Claude Monet a Pavia è per la cittá tutta motivo di grande soddisfazione. La mostra su Monet si inserisce in un percorso artistico di Pavia che negli ultimi anni ha visto rassegne prestigiose e apprezzate, come testimoniano gli importanti numeri fatti registrare dai visitatori, inediti per la nostra cittá. Nella splendida cornice del Castello Visconteo è ora il momento di Monet, dei suoi colori e delle sue forme che hanno lasciato segni indelebili e fondamentali nella pittura dell'800 e del '900. Il più impressionista tra gli impressionisti, Monet, segna un altro momento di altissimo profilo culturale di cui Pavia è sempre più orgogliosa” dichiarano Alessandro Cattaneo, Sindaco e Matteo Mognaschi, Vicesindaco e Assessore alla cultura, turismo e marketing territoriale del Comune di Pavia.

    Per tutta la durata dell'esposizione una serie di attività didattiche e laboratori creativi permetteranno anche ai più piccoli di avvicinarsi alla pittura impressionista e alla produzione artistica del pittore francese.

    Catalogo Silvana Editoriale

    Conferenza stampa venerdì 13 settembre, ore 10.30
    Pavia, Castello Visconteo

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    Claude Monet
    Bateaux à Etretat (Barche a Etretat), 1883
    olio su tela, 65 x 81 cm
    Fondation Bemberg, Toulouse -France


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    Claude Monet
    Bateaux de pêche á Honfleur
    (Barche di pescatori a Honfleur), 1866 ca.
    olio su tela, 37,9 x 46,3 cm
    Muzeul National de Artă al României


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    Claude Monet
    Printemps (Primavera), 1873
    olio su tela, 60,5 x 81 cm
    Johannesburg Art Gallery
    Donazione di Otto Beit, 1910


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    Claude Monet
    Passerelle à Zaandam, 1871
    olio su tela, 47 x 38 cm
    Cliché P. Tournier, Musées de Mâcon


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    Claude Monet
    La gare d'Argenteuil
    (La stazione di Argenteuil), 1872
    olio su tela, 47,5 x 71 cm
    © Conseil Général du Val-d'Oise -F-/photo J-Y
    Lacôte


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    Claude Monet
    Portrait de Jean Monet
    (Ritratto di Jean Monet), 1872 ca.
    olio su tela,42 x 33 cm
    Fondation Bemberg, Toulouse – France



    Informazioni Evento:

    Data Inizio:14 settembre 2013
    Data Fine: 15 dicembre 2013
    Costo del biglietto: 15,00 euro; Riduzioni: 13,00 euro
    Luogo: Pavia, Scuderie del Castello Visconteo di Pavia
    Orario: Dal lunedì al venerdì: 9.00 – 19.00 Sabato, domenica e festivi: 9.00 – 20.00
    Telefono: 0382 309879
    E-mail: [email protected]
    Sito web: http://scuderiepavia.com

    Dove:

    Pavia, Scuderie del Castello Visconteo di Pavia
    Città: Pavia
    Indirizzo: Viale XI Febbraio 35
    Provincia: (PV)
    Regione: Lombardia
    Telefono: 0382 309879
    E-mail: [email protected]
    Sito web: http://scuderiepavia.com

    beniculturali
  11. .
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    Da Donatello a Lippi: fra un mese esatto l'arrivo delle prime opere anche da Londra, Parigi, Berlino, Washington, Philadelphia
    Il Rinascimento torna a casa. Tra un mese esatto inizieranno ad arrivare a Prato i dipinti che, assieme ai capolavori della collezione del Museo di Palazzo Pretorio, saranno protagonisti della mostra “Da Donatello a Lippi. Officina pratese”. «Fra il primo e il secondo piano di Palazzo Pretorio, che torna finalmente accessibile alla città e ai turisti dopo oltre 16 anni di chiusura - dichiara l'assessore alla Cultura Anna Beltrame - dal 13 settembre al 13 gennaio saranno esposte oltre 60 opere, circa tre quarti delle quali provenienti da musei italiani e dall'estero, per mettere in luce - come mai prima - il ruolo cruciale che Prato ebbe nella storia dell'arte rinascimentale».
    La mostra, curata da Andrea De Marchi dell'Università di Firenze e da Cristina Gnoni della Soprintendenza ai beni artistici, si avvale di un comitato scientifico di rilievo internazionale. Fra i suoi componenti c'è Keith Christiansen del Metropolitan Museum di New York, tra i maggiori esperti al mondo di arte rinascimentale: «Non si può comprendere il Rinascimento senza conoscere Prato», ha dichiarato Christiansen.
    Parigi, Londra, Dublino, Oxford, Budapest, Philadelphia, Washington: sono alcune delle città da cui dal 2 settembre inizieranno ad arrivare a Prato capolavori di Paolo Uccello, Filippo Lippi e degli altri artisti a cui la mostra è dedicata. Tra questi Fra Diamante, il monaco vallombrosano che fu collaboratore fedele di Fra Filippo Lippi durante gli anni pratesi (1452-1465). Ed ecco la prima storia da raccontare, grazie alla mostra. Da Budapest arriverà una pala firmata proprio da Fra Diamante e ben radicata nel contesto pratese dell’epoca, in quanto proveniente dall’altare del piccolo oratorio di San Lorenzo a Prato che una volta sorgeva tra l’antica via dell’Appianato (oggi via Ricasoli) e piazza San Francesco. La tavola di legno fu acquistata nel 1871 dalla prestigiosa collezione ungherese Esterházy per poi essere collocata al Szépmuvészeti Múzeum di Budapest. C’è più di un riferimento a Prato nella pala di Fra Diamante. Innanzitutto, l’oratorio di San Lorenzo fondato da Carlo di Giovanni Casini che, nell’iconografia della tavola di Budapest, ha le sembianze del devoto inginocchiato ritratto col nero abito sacerdotale di canonico.

    FotoGallery: www.officinapratese.com/gallery/
    Info: www.officinapratese.com

    Informazioni Evento:

    Data Inizio:13 settembre 2013
    Data Fine: 13 gennaio 2014
    Costo del biglietto: 10.00
    Luogo: Prato, Museo di Palazzo Pretorio
    Orario: Aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19 Chiuso il martedì e il 25 dicembre
    Telefono: 0574 - 1934996
    E-mail:
    Sito web: www.officinapratese.com/

    Dove:

    Prato, Museo di Palazzo Pretorio
    Città: Prato
    Indirizzo: Piazza del Comune
    Provincia: (PO)
    Regione: Toscana
    Telefono: 0574 - 1934996
    Sito web: www.officinapratese.com/

    beniculturali
  12. .
    Il museo di Vincent Van Gogh di Amsterdam ha identificato un nuovo quadro dell'artista olandese, che era rimasto per diversi anni in un sottotetto in Norvegia.

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    Nella tela, intitolata «Tramonto a Montmajour» è ritratto un panorama con degli alberi e cespugli. Gli esperti del museo hanno fatto sapere che l'autenticità del quadro è stata confermata da alcune lettere, dallo stile e dal materiale fisico usato

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    Il direttore del museo, Axel Rueger, (nella foto sotto) ha descritto la scoperta come «un'esperienza unica»

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    L'opera appartiene a un collezionista d'arte privato, rimasto anonimo, e potrà essere ammirata nel museo fino al 24 settembre

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    Si tratta della prima tela grande di Van Gogh scoperta dal 1928

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    corriere.it
  13. .

    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - La predica di san Giovanni Battista

    1566 - olio su tavola - 95x160,5 cm - Budapest, Museo delle belle arti


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    Il tratto distintivo di La predica di san Giovanni Battista è la coralità della scena, ben più che la teoria fitta di figure che si perdono a vista d'occhio. Bruegel fa come una digressione dal soggetto, inserendo elementi che a un primo colpo d'occhio paiono quasi incongrui: Gesù, presente alla predica, è indicato dal Battista con il braccio sinistro. Suggestionato dalla diffusione di predicatori delle chiese riformate che ai suoi giorni affollano le strade, anche in questo caso Bruegel è attratto non tanto dalla prospettiva spirituale offerta dal racconto quanto dalla vicenda umana e dalla possibilità di cogliere il variegato intrecciarsi di sacro e profano che l'evento consente di immaginare, sondando la natura umana nel suo oscillare tra intima partecipazione e indifferente scetticismo (in primo piano, incurante della scena, un astante preferisce farsi leggere la mano da uno zingaro).

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  14. .
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    Non è la prima volta che i Goldfrapp cercano di tornare al linguaggio più intimista e onirico degli esordi. Anche stavolta sembrano voler dimostrare al loro pubblico - quello che si era innamorato dell’algida perfezione di “Felt Mountain” e che, messo a dura prova, aveva continuato a seguirli nonostante gli sbalzi d’umore di Alison e la sua insaziabile fame di diventare una glamorous diva del pop (mai del tutto appagata) - che sotto i lustrini e le mire da classifica loro sono rimasti gli stessi, pronti a riportarlo in un’area di maggiore comfort e ad accantonare al momento giusto le produzioni più modaiole.
    Si potrebbe maliziosamente pensare che questo momento giusto arrivi ogniqualvolta le quotazioni dei due sembrino vacillare, come quando, cinque anni fa, “Seventh Tree” fu accolto con un grosso sospiro di sollievo dai fan della prima ora e da buone recensioni. In molti pensavano, e speravano, che i due avessero imparato la lezione e capito di dover lasciarsi alle spalle mirrorball e completini sexy, per poi venir successivamente smentiti, e delusi, da quella sbornia anni 80 che fu il non del tutto riuscito “Head First”.

    Eppure, a ben sentire, anche “Seventh Tree” era tutt’altro che perfetto, sotto il vestito acustico mostrava spesso un songwriting tanto frivolo quanto quello di “Supernature”. Insomma, il loro non è mai stato solo un problema di genere scelto (Will Gregory è in fin dei conti un ottimo mestierante) ma di come questo veniva affrontato, dell’ispirazione che lo sorreggeva.
    E’ vero che il loro background barocco ha spesso reso troppo leziose le loro escursioni più ritmate e radiofoniche, ma potrebbe essere solo un caso che sinora, almeno sulla lunga durata dell’album, i due siano riusciti a dare il meglio indossando i panni di eredi dream-pop che non quelli di Olivia Newton-John.
    Forse non si scoprirà mai cosa si celi dietro il loro dualismo stilistico, se vi sia mero calcolo o imprevedibile istinto, ma questa volta i dubbi possono essere rimandati perché finalmente appagati da un album del tutto riuscito. Le storie qui raccontate mostrano tutte la consapevolezza di essere quanto di meglio Will Gregory e Alison Goldfrapp potevano offrire a questo punto della loro carriera, infischiandosene dei riscontri commerciali e di suonare à-la page, e meritano davvero il plauso che sicuramente i loro primi sostenitori gli tributeranno.

    Agli appassionati del genere non sfuggirà poi il vezzo di aver intitolato con nomi propri i pezzi del disco, proprio come quel caposaldo dream-pop che è “Treasure” dei Cocteau Twins. Le similitudini col capolavoro degli scozzesi si fermano però qui, le atmosfere di “Tales Of Us” potrebbero in effetti ricordare più quelle di “Victorialand”, seppur meno iridescenti e in veste notturna. E’ un lavoro pacato, riflessivo, in cui viene quasi del tutto accantonata ogni velleità electro-dance a favore di un folk-pop vintage e rigoroso, e di un'elettronica così minimale da risultare quasi impercettibile. E se il risultato finale è addirittura austero, i delicati ricami acustici dell’ammaliante singolo “Drew” o di brani come “Simone” meglio non potrebbero avvolgere l’interpretazione morbida e sussurrata della Goldfrapp, stavolta più contenuta anche vocalmente.

    Eccezion fatta per la clamorosa “Thea”, che spezza letteralmente e inaspettatamente l’album, e in cui l’ugola celestiale di Alison viene sopraffatta da oscuri gorghi elettronici proprio come ai tempi di “Black Cherry” (ma senza perdere la delicatezza d’intenti), “Tales Of Us” suona compatto, come un lento continuum che richiede ascolti e dedizione per poter cogliere le comunque sostanziali sfumature tra i vari pezzi.
    Solo così si rimarrà conquistati dalla nenia al retrogusto orientale di “Jo”, dalle melodie dreamy più malinconiche di “Annabel” e “Ulla” o dalla circolare cupezza dark-wave di “Alvar”.
    Unico raggio di (fioca) luce che il duo di Bristol regalerà all’ascoltatore sarà evocato dalla conclusiva e placida “Clay”, non prima però di averci riportato alla mente quell’irripetibile alchimia del loro esordio con l’apertura per archi (da brividi) di “Stranger” e col tetro cabaret di “Laurel”.

    Cosa ci attenderà al termine di questa carezzevole nottata? Saranno in tanti ad augurarsi che non termini mai, c’è da scommetterci, ma è probabile che al prossimo giro Goldfrapp e Gregory riallaccino le loro scarpette da ballo e tornino all’assalto di radio, spot pubblicitari e passerelle. Qualunque cosa decidano di fare, la speranza è che, da questo momento in poi, la loro ispirazione mantenga questo tanto agognato stato di grazia raggiunto.

    Tracklist
    Jo
    Annabel
    Drew
    Ulla
    Alvar
    Thea
    Simone
    Stranger
    Laurel
    Clay

    ondarock

  15. .

    Pieter Brueghel il Vecchio (Pieter Bruegel the Elder) - Il censimento di Betlemme

    1566 - olio su tavola - 116x164,5 cm - Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique


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    In Il censimento di Betlemme, il passo del Vangelo di Luca è calato nella quotidianità di un villaggio fiammingo con una tale naturalezza che, nel brulicare della vita di questa povera comunità sotto la neve, tanto gli abitanti del quadro quanto i suoi osservatori paiono non accorgersi del vero fulcro della narrazione: quella donna in groppa a un asino tirato da un uomo che avanza sotto il peso della fatica. Sono al centro in primo piano, ma l'artista richiama l'attenzione sulla folla assiepata sulla sinistra, e così Giuseppe e la Madonna quasi riescono a passare oltre senza farsi notare da nessuno.
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