Jan van Eyck - Vita e opere

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    Jan van Eyck



    Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa – Bruges, giugno 1441) è stato un pittore fiammingo. Fu un artista di fama internazionale e il suo stile, incentrato su una resa analitica della realtà, ebbe un larghissimo influsso. Fu anche il perfezionatore della tecnica della pittura ad olio, che gradualmente sostituì in Europa l'uso del colore a tempera.
    Nonostante sia considerato il capostipite della pittura nei Paesi Bassi nel Quattrocento ed il maggior pittore nord europeo del suo tempo, le notizie certe riguardanti la sua vita sono ancora molto scarse. Probabilmente la sua formazione fu nel campo della miniatura, dalla quale imparò l'amore per i dettagli minuti e per la tecnica raffinata, che si riflesse anche nelle opere pittoriche. Le prime informazioni che si hanno sul conto di Van Eyck risalgono quindi al periodo in cui Jan Operò a l'Aia dal 1422 al 1424 per Giovanni di Baviera. Nel 1425 si trasferì a Bruges presso Filippo III di Borgogna, dove rimase a lungo al suo servizio anche dopo essersi trasferito a Lilla, compiendo varie missioni incaricategli dal patrono.
    Il problema della sua formazione e soprattutto della sua priorità nell'abbandono dei modi stilistici del gotico internazionale nei Paesi bassi, per una maggiore adesione alla concretezza del reale, si lega a quello tuttora irrisolto, dell'attribuzione di alcune miniature nelle Ore di Torino: se appartenessero davvero a lui e fossero state eseguite entro il 1420, come alcuni ritengono, non sussisterebbero dubbi su tale priorità (da alcuni riferita a Campin e da altri ad Hubert van Eyck, più anziano del fratello e suo probabile maestro), per quanto è possibile ricostruirne la sua vicenda artistica, appare escluso da questo spirito analiticamente moderno, sia pure manifestando sensibili superamenti dell'astrattezza gotica. Questi rilievi e il confronto con dipinti della prima maturità di Jan come la Madonna in Chiesa inducono a supporre l'intervento di entrambi i fratelli nel celebre Agnello mistico di Gand, che Hubert può aver iniziato verso il 1425, lasciandolo interrotto alla morte, quando era compiuto almeno il pannello dell'Adorazione. Jan lo riprese e dipinse le zone restanti entro il 1432. La produzione successiva comprende alcune opere certe e molte attribuite: Cardinale Albergati (Vienna, Kunsthistorisches Museum), Timoteo, Uomo dal turbante, Ritratto dei coniugi Arnolfini (tutti a Londra nella National Gallery, situabili tra il 1431 e il 1434), Madonna del Cancelliere Rolin (Parigi, Louvre), Madonna del canonico Van der Paele (Bruges, Museo comunale)del 1435-1436 circa e l'incompiuta Santa Barbara (Anversa, Museo reale di belle arti) 1438 circa. All'ultimo periodo di attività del pittore sono da riferirsi la Madonna della fontana (opera firmata e datata nel 1439, custodita al museo Nazionale di Anversa) e quella che è conosciuta come la Madonna di Lucca.
    Quello di Jan è un percorso con variazioni minime: l'indagine della realtà e fin dall'inizio, minuta e accanita e subito egli perviene all'inseparabile organizzazione di figure, paesaggio e oggetti, in complessi di una monumentalità elevata e solenne. La qualità traslucida del colore, steso per strati sovrapposti, la sottigliezza degli effetti luminosi, la precisione del segno, giungono alla pittura di Jan Van Eyck a una straordinaria verità nella resa del reale, destinata a rimanere il carattere essenziale e inconfondibile dell'arte fiamminga.

    La Rousse Arte
     
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    Van Eyck - Le ore di Torino - La nascita del Battista

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    Le Ore di Torino è un libro d'ore miniato, conservato nel Museo civico d'arte antica di Palazzo Madama di Torino. Venne miniato da vari artisti per la corte del duca di Berry, tra il 1380 (le pagine più antiche di stampo marcatamente gotico) fino al 1422-1424 quando vi lavorò probabilmente Jan van Eyck, che divenne poi il fondatore e caposcuola della pittura fiamminga. Il libro era appartenuto a Jean de Berry ed è stato smembrato in più parti. Quattro fogli, con cinque miniature si trovano oggi al Louvre, ed uno al Getty Museum.

    Tra le miniature spicca il foglio 93 v. attribuito al giovane van Eyck e raffigurante la nascita di san Giovanni Battista. In questa scena le figure si muovono coerentemente nel paesaggio (non sono semplicemente giustapposte come in opere anteriori, quali le Très riches heures du Duc de Berry) e la luce unifica lo spazio descrivendo con realismo i personaggi e i loro gesti, oltre che la moltitudine di oggetti.
     
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    Van Eyck - Polittico dell'Agnello Mistico, 1424 - 1430
    Olio su tavola, 258 x 375 cm - Gand, Cattedrale di San Bavone

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    Il Polittico dell'Agnello Mistico o Polittico di Gand è un'opera monumentale di Jan van Eyck (e del misterioso Hubert van Eyck), dipinto per la chiesa di San Bavone a Gand, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un polittico apribile composta da dodici pannelli di legno di quercia, otto dei quali sono dipinti anche sul lato posteriore, in maniera da essere visibili quando il polittico è chiuso.

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    La maggior parte delle informazioni sul polittico deriva dall'iscrizione sulla cornice e qualche riscontro indiretto. Sull'iscrizione si riporta come fosse stato iniziato dal pittore Huubertus Eeyck, "il maggiore mai vissuto", e completato dal fratello Jan, secondo nell'arte, su incarico di Josse Vijd, che glielo affidò il 6 maggio, mentre alcune lettere in rosso, se lette come cifre romane, compongono la data 1432. Dalla lastra tombale di Hubert, nell'antica abbazia di San Bavone a Gand, si sa che egli morì nel 1426, ma questa figura ha assunto contorni leggendari, nell'impossibilità di distinguere la sua mano "maio quo nemo repertus" da quella di Jan, che invece è ben documentato. La mancanza di opere certe di Hubert ha infatti impedito di trovare risposte soddisfacenti alla questione della sua attribuzione. La critica sembra oggi propensa ad attribuire a Hubert la concezione ed in parte l'esecuzione della tavola con l'Adorazione e delle tre tavole sovrastanti, mentre tutto il resto venne eseguito da van Eyck che vi lavorò a fasi alterne; ciò spiegherebbe l'evidente carattere di disomogeneità tra i vari scomparti, che per essere pienamente apprezzati devono essere analizzati singolarmente.

    La collocazione nell'angusta cappella di Josse Vijd non era forse il luogo di destinazione originario e, come suggerirebbero alcune discrepanze compositive, la pala venne acquistata dal Vijd solo quando era completata per metà, facendo adattare quello che era stato pensato per un altro committente e un'altra collocazione. Dürer descrisse l'opera come "immensamente preziosa e stupendamente bella".

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    Adorazione dell'Agnello, dettaglio



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    La Vergine Maria, dettaglio



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    Adamo e Coro angelico



    Il polittico è costituito da 12 pannelli, disposti su due registri, uno superiore e uno inferiore. Il tema iconografico del polittico è probabilmente quello della Redenzione, con un prologo terreno (gli sportelli esterni) e la conclusione nelle scene dei beati in paradiso nei pannelli interni.
    Registro inferiore

    Il registro inferiore mostra al centro il grande pannello dell'Adorazione dell'Agnello mistico, dove in una ampio paesaggio si trova su una collinetta l'altare con l'Agnello simbolo di Cristo, adorato da una schiera di angeli. mentre la colomba dello Spirito Santo irradia i raggi solari della Grazia divina, sotto l'altare si vede la Fontana della Vita ed attorno ad essa ed all'altare si trovano quattro fitti gruppi di adoratori: a sinistra in basso i pagani e gli scrittori ebrei, a destra i papi e i santi uomini; in alto spuntano invece i gruppi dei martiri uomini a sinistra (con in prima fila gli appartenenti al clero) e le martiri a destra. L'impostazione di questo pannello è di sapore più arcaico, con gruppi sovrapposti su un unico piano ascendente, al posto di disposizioni più naturali e conformi alla natura del paesaggio, come negli altri sportelli; per questo la scena è attribuita di solito a Hubert.

    Ai lati di questo grande pannello centrale si trovano due scomparti per lato con altri gruppi di adoratori, composto in un paesaggio che riprende spazialmente lo sfondo del pannello centrale. Da sinistra si incontrano: i Buoni Giudici, i Cavalieri di Cristo, poi gli Eremiti e i Pellegrini. Il numero quattro richiama i quattro angoli della Terra, da cui proverrebbero i santi e beati venuti ad adorare l'Agnello.

    Quando il polittico è chiuso su questo registro si trovano dipinte le statue vivenmti di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, in grisaille, mentre ai lati si trovano i due committenti inginocchiati, Joos Vijdt e Lysbette Borluut.

    Registro superiore

    Il pannello centrale del registro superiore, di altezza maggiore, mostra una figura maschile barbuta, assisa su un grande trono, coronato da archi a tutto sesto che riflettono la forma tradizionale dei polittici gotici, divisi in pannelli cuspidati, con in testa una tiara e scettro. Questa figura è oggetto di varie interpretazioni, per alcuni studiosi rappresenta Dio Padre, per altri Cristo Re e una terza interpretazione ne vedrebbe rappresentata la Trinità. Accanto a lui, sullo stesso pannello ma divisi da cornici, si trovano la Vergine Maria e Giovanni evangelista. Anche queste figure sono attribuite a Hubert, per via dei panneggi abbondanti e rigidi, a fronte di fondi appiattiti, anche se alcuni attribuiscono la stesura del colore a Jan.

    I due pannelli laterali successivi, con la forma ad arco che copre esattamente i troni laterali, mostrano due gruppi di angeli musicanti. Infine gli ultimi due pannelli, a forma di semilunette, riporatano Adamo ed Eva nudi entro nicchie dipinte, sormontati da sue scene dipinte a grisaille del Sacrificio di Caino e Abele e dell'Uccisione di Abele. Adamo ed Eva sono le figure di congiunzione tra esterno e interno, poiché essi sono i responsabili della venuta del Redentore, per lavare le colpe del Peccato originale.

    Sul retro delle ante, che si vedono quando il polittico è chiuso, si trova l'Annunciazione, che si svolge in una stanza architettonicamente definita con precisione, e nelle lunette due profeti (ai lati) Zaccaria e Michea e due sibille (nelle semilunette centrali). La stanza dell'Annunciazione è resa realisticamente grazie all'uso dell'unificazione spaziale di tutto il registro superiore, tramite linee ortogonali convergenti e tramite la presenza uniforme della luce sulle varie superfici. Grandissimo virtuosismo illusionistico è la proiezione delle ombre dei montanti dei pannelli sul pavimento della stanza, calibrata secondo la luce della finestra che naturalmente illumina la cappella.
    Stile

    In quest'opera compaiono quelli che divennero i caratteri tipici della pittura di van Eyck: naturalismo analitico, uso di colori luminosi, cura per la resa del paesaggio e grande lirismo, tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand.

    Non è chiara la ragione per cui nei pannelli si usino scale di rappresentazione diverse, in particolare, nel lato interno, tra registro superiore e inferiore. La solenne monumentalità delle figure superiori contrasta con i paesaggi distesi e brulicanti di figure in azione nella parte inferiore, che farebbe quasi pensare a una monumentale predella.

    Nel complesso comunque non si può parlare di disomogeneità eccessivamente marcate, infatti i colori, la luce e le composizioni spaziali risultano nel complesso sufficientemente unificate e l'altissima qualità pittorica del polittico mette in secondo piano anche i problemi attributivi.

    La tecnica del colore a olio, perfezionata proprio da van Eyck e ripresa dai suoi seguaci, permise la creazione di effetti di luce e di resa delle superfici mai viste prima: siccome i colori asciugavano molto lentamente era possibile procedere a successive velature, cioè strati di colore traslucidi e trasparenti, che rendevano le figure brillanti e lucide, permettendo di definire la diversa consistenza delle superfici fin nei più minuti particolari. La luce fredda e analitica è l'elemento che unifica e rende solenne e immobile tutta la scena, delineando in maniera "non selettiva" sia l'infinitamente piccolo che l'infinitamente grande. Vengono sfruttate più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i rilessi, permettendo di definire con acutezza le diverse superfici: dei tessuti ai gioielli, dagli elementi vegetali al cielo terso.

    In quest'opera, e nelle opere fiamminghe in generale, lo spettatore è incluso illusoriamente nello spazio della rappresentazione, tramite alcuni accorgimenti quali l'uso di una linea dell'orizzonte più alta, che fa sembrare l'ambiente "avvolgente", come se fosse in procinto di rovesciarsi su chi guarda.
     
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    Jan van Eyck - Madonna in una chiesa gotica

    1426 ca. - olio su tavola - 32x14 cm - Berlino, Gemäldegalerie


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    Nella piccola tavola di Berlino, Van Eyck riprende l'idea della "Messa dei morti", sistemando la Madonna entro la navata principale di una cattedrale gotica. L'edificio è rappresentato con una precisione d'architetto...la chiesa è inondata di luce, che filtra abbondante dalle vetrate, riverberandosi su stipiti e pavimenti.
    Sia l'architettura che la luce rivestono una precisa funzione simbolica, alludendo alla santità delle Vergine; sull'orlo della sua veste rossa sono ricamate le parole del Libro della Sapienza "HAEC EST SPECIOSIOR SOLE" - "Ella è più luminosa del sole" - così come le pietre preziose della corona, secondo la filosofia dell'epoca, alludono allo splendore della divinità.
    Anche la sproporzione della figura della Madonna, gigantesca rispetto al naturale, è voluta e simbolica: la Vergine appare cioè quale "Mater Ecclesiae", identificandosi con la Chiesa stessa.
    L'atmosfera celeste della raffigurazione è rafforzata dal coro di angeli che s'intravvede davanti all'altare, oltre il tramezzo che separa il presbiterio dalla parte riservata ai fedeli nelle cattedrali gotiche; su di esso due bassorilievi costituiscono un'ulteriore allusione alla protagonista, poichè vi sono raffigurati l'Annunciazione e l'Incoronazione, mentre una statua lignea della Madonna è visibile, affiancata da candele, nell'arcata sinistra dell'altare.
    La posizione leggermente decentrata della Vergine e la direzione dello sguardo indicano che il pannello costituiva all'origine l'ala sinistra di un dittico, affiancata dal ritratto del committente...due copie antiche confermano l'ipotesi, anche se certamente l'invenzione eyckiana fu adattata a nuovi proprietari e il committente originario resta dunque sconosciuto.
    Le numerose e raffinata allusioni teologiche lasciano comunque supporre che l'opera fosse pensata per una persona colta, verosimilmente un religioso.
     
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    Jan van Eyck - Marie al sepolcro

    1426 ca. - olio su tavola - 71,5x89 cm - Rotterdam, Museo Boijmans Van Beuningen


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    Jan van Eyck - Crocifissione e Giudizio finale

    1430 ca. - olio su tavola - 56,5x19,7 cm - New York, Metropolitan Museum


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    L'opera è un tipico esempio della scuola fiamminga, con una linea dell'orizzonte molto alta e un brulicante insieme di figure trattate con estrema cura fin nei minimi dettagli. Non è chiaro se le due tavole facessero parte di un polittico smembrato oppure fossero unite insieme a formare un dittico.

    A sinistra la Crocifissione è popolata da un grande numero di personaggi attorno al calvario, tra cui si vedono soldati e dignitari di corte ritratti con impassibile distacco, mentre in primo piano si consuma, per contrasto, il dramma delle Marie dolenti. Maria è inginocchiata ed è avvolta in un largo abito celeste che lascia scoperto soltanto il volto. Il senso di drammaticità è accentuato dalla posizione del ladro sulla destra raffigurato con il corpo piegato sulla croce, come nel tentativo estremo di liberarsi dalle corde, mentre il cielo plumbeo annuncia l'imminente morte del Cristo; la città che si vede sullo sfondo, con i suoi numerosi edifici che ricordano le costruzioni fiamminghe del tempo, rappresenta la Gerusalemme celeste. Il punto di vista rialzato aumenta il senso di profondità.

    Il Giudizio Universale è ancora più elaborato, costruito secondo un modello di derivazione medievale, con una disposizione su tre piani e con le figure di grandezza diversa a seconda del loro grado d'importanza. Il Cristo giudice al centro in alto, accerchiato dalla Vergine, da San Giovanni e dagli angeli coi simboli della Passione. Sotto di lui si dispiegano le tribune del Paradiso, con gli apostoli in primo piano (vestiti di bianco), i santi e i beati. Al centro si vede la terra dove, in un paesaggio marino, i morti risorgono dalle tombe e gli annegati tornano a galla. Al centro di questo livello troneggia l'Arcangelo Michele, che separa i giusti dai malvagi e sta in piedi sulle ali della Morte. Essa è un enorme scheletro a gambe e braccia divaricate, sotto il quale i dannati sprofondano nell'inferno, per venire perseguitati da diavoli mostruosi, in un inestricabile groviglio di caos e dolore.
    La tavola contiene anche delle iscrizioni destinate alla corretta interpretazione delle immagini conferendo una funzione di erudizione all'opera che forse era destinata ad una persona istruita, in grado perciò di leggerla e di comprenderne il significato. Tra le citazioni del testo biblico si legge ad esempio Venite benedicti patris mei sulla veste rossa del Cristo.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di un orefice (o Uomo con l'anello)

    1430 ca. - olio su tavola - 19,1x13,2 cm - Bucarest, Museo Nazionale d'Arte Rumeno


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    Il Ritratto d'uomo con copricapo azzurro (Sibiu, Romania) è un affascinante ritratto realizzato dal pittore fiammingo Jan van Eyck probabilmente agli inizi degli anni '30 del Quattrocento. Il dipinto, anticamente attribuito ad Albrecht Dürer, è uno splendido esempio della ritrattistica di van Eyck, sottile indagatore del reale e artista attentissimo alla verità epidermica dei soggetti trattati. Per raggiungere questi effetti di stupefacente realismo, il pittore predilige dunque la rappresentazione dell'effigiato di tre quarti, affinchè la luce possa esaltare volume e struttura del volto e della pelle stessa. Gli abiti indossati dal personaggio, estremamente sontuosi (la pelliccia, il copricapo azzurro) lasciano intuire che il committente appartenesse all'aristocrazia, ma non è stato possibile identificarlo: il fatto che l'uomo mostri un anello ha fatto in passato supporre che il dipinto fosse il ritratto di un orefice, anche se è più probabile che possa essere semplicemente un riferimento al prossimo matrimonio del personaggio, forse un membro della corte borgognona.
     
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    Jan van Eyck - Stigmate di san Francesco

    1428-1429 - olio su tavola - 12,5x14,5 cm - Filadelfia, Philadelphia Museum of Art


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    Jan van Eyck - Stigmate di san Francesco

    1434 - olio su tavola - 29,2x33,4 cm - Torino, Galleria Sabauda


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    Il Stigmate di san Francesco è il nome di due dipinti pressoché identici del pittore fiammingo Jan van Eyck. Quello del Philadelphia Museum of Art, generalmente attribuito al periodo del soggiorno in Spagna (in particolare al 1428-1429) misura 12,5×14,5 cm; una seconda copia, con una cromia più armonizzata ai colori bruni, è conservato nella Galleria Sabauda di Torino, datato al 1432 (l'opera è stata esposta a Roma a Palazzo Venezia nell'ambito della mostra Il Potere e la Grazia). Le due opere sono identiche anche nei particolari minuti, per cui l'artista dovette servirsi di un medesimo disegno preparatorio.
    Esse costituiscono un autentico enigma per la storia dell'arte, così simili, quasi “gemelle” pur nella diversità del formato e della tecnica (più grande l'esemplare di Torino eseguito direttamente su tavola, più piccolo quello di Filadelfia eseguito su pergamena applicata fin dall'origine su tavola). Le due opere sono state oggetto di giudizi assai contrastanti da parte della critica che spesso ha ritenuto solo una delle due autografa e l'altra replica di bottega (con le alterne propensioni circa l'individuazione dell'originale), ma gli studi recenti sembrano indicare una reale autografa per entrambe. Restano aperti i quesiti sulla committenza di due opere così volutamente identiche e sulle cui origini poco sappiamo, salvo il fatto che nel secondo Quattrocento esse avrebbero dovuto essere in possesso di Anselmo Adorno, prestigioso personaggio di famiglia genovese stabilmente trapiantato a Bruges, autorevole esponente della corte di Borgogna, che nel proprio testamento (1470) lascia alle due figlie monache due immagini di san Francesco di mano di van Eyck. Bellissimo è il disegno che la riflettografia ha evidenziato al di sotto della redazione di Torino, un disegno rifinito nelle pieghe delle stoffe, nella definizione dei volti, nell'impianto compositivo che sarebbe a dimostrare che la tavoletta torinese precede come esecuzione l'opera di Filadelfia nella quale il disegno preparatorio è del tutto assente.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di giovane detto Timoteo

    1432 - olio su tavola - 34,5x19 cm - Londra, National Gallery


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    L'opera è uno dei più antichi ritratti alla "maniera fiamminga", che rivoluzionarono questo soggetto.
    Non si conosce il nome del personaggio raffigurato, ma alcune informazioni si trovano sull'iscrizione sul parapetto marmoreo in trompe-l'oeil. Tra queste spicca, in lettere più grandi e dipinte come se fossero incise nel marmo, "Leal Souvenir", cioè la presentazione del ritratto come ricordo fedele dell'aspetto della persona rappresentata, non come un'opera idealizzata o simbolica.
    Il personaggio è rappresentato di tre quarti e non guarda lo spettatore, a differenza della tradizione tardogotica che utilizzava soprattutto il profilo. Un contatto con l'osservatore è suggerito dalla mano (che tiene un cartiglio arrotolato) protesa in scorcio verso il parapetto che separa il personaggio da chi guarda.
    Il fondo scuro è una caratteristica frequente nei ritratti fiamminghi della prima metà del XV secolo, a cui si sostituiranno poi fondali architettonici e paesaggi.
     
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    Jan van Eyck - Madonna di Ince Hall

    1433 - olio su tavola - 26,3x19,4 cm - Melbourne, National Gallery of Victoria


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    La Madonna e il Bambino sono rappresentati in un interno domestico contemporaneo, illuminato dalla luce naturale che piove da una finestra. La familiarità dell'ambiente e della scena è spezzata soltanto dall'inserto del prezioso baldacchino, che la trasporta in una dimensione solenne. Il Bambino, seduto in grembo alla madre, è intento a sfogliare un libro - certamente la Bibbia... - tenendo le pagine con le manine, mentre Maria sorregge il volume, guardandolo a sua volta. La figura della Madonna, piuttosto esile, è nobilitata da un enorme mantello rosso, che si apre a ventaglio verso lo spettatore, in una moltitudine di pieghe. Lo scollo e la fronte sono ornati da gioielli, mentre la bacinella di metallo piena d'acqua è un caratteristica allusione alla sua purezza, così come i melograni appoggiati presso la finestra simboleggiano la Passione di Gesù. Gli altri oggetti raffigurati, un candelabro con la candela spenta, una brocca in metallo e una caraffa d'acqua sono tipici degli interni fiamminghi dipinti da Robert Campin e Van Eyck, il quale si sofferma frequentemente a rappresentare i riflessi della luce su vetro e metalli. Nonostante la presenza della firma, della data e del motto, inserito direttamente nella superficie dipinta, l'autografia dell'opera è da sempre in discussione. L'anatomia un po' impacciata del Bambino e della Madonna fanno piuttosto pensare a una copia, pur se di alta qualità. Recenti analisi sul disegno sottostante allo strato pittorico, visibile ricorrendo all'uso dell'infrarosso, mostrano un procedimento molto simile a quello dell'artista ed è pertanto possibile che il dipinto di Melbourne sia una copia effettuata da un assistente del maestro, o un'opera eseguita con ampia partecipazione della bottega...
     
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    Jan van Eyck - Ritratto di uomo con turbante rosso

    1433 - olio su tavola - 25,5x19 cm - Londra, National Gallery


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    Il ritratto di questo personaggio ignoto prende il nome di Uomo con il turbante per la presenza dominante di quel grande turbante rosso, vero e proprio capolavoro di scultura dipinta, che sembra svelare un tratto di intelligente stravaganza in chi lo porta. Lo sguardo del personaggio è rivolto all'esterno del quadro, verso di noi; ci sentiamo noi stessi quasi scrutati da quello sguardo sensibile e inquieto, di insaziabile curiosità. L'ipotesi, un tempo avanzata da pochi studiosi con grande cautela e molti dubbi, che si tratti di un autoritratto del pittore viene data, giustamente, come la più probabile negli ultimi studi eyckiani. A sostegno di questa ipotesi non è tanto lo sguardo diretto allo spettatore, quanto il fatto che il personaggio è ritratto senza mani, come appunto se fosse stato il pittore a ritrarre se stesso in uno specchio; e l'assenza delle mani è un fatto eccezionale nella ritrattistica eyckiana, tranne che nel ritratto dell'Albergati che fu dipinto senza il modello sotto gli occhi. Infine, e soprattutto, si potrebbe trattare di un autoritratto perché la firma e la data sulla cornice (JOHES DE EYCK ME FECIT ANNO MCCCC33 21 OCTOBRIS e in alto il motto ALS ICH CHAN) comporterebbero, come negli altri ritratti, anche il nome del personaggio ritratto. Così ci si può concedere - una volta tanto - semplicemente di fantasticare che questo signore dall'età apparente di circa cinquant'anni, che ci guarda intelligente e disincantato, con un tocco di estro artistico nel turbante sofisticato, possa proprio essere il nostro pittore.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto dei coniugi Arnolfini

    1434 - olio su tavola - 81,8x59,7 cm - Londra, National Gallery


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    Nel celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini Jan Van Eyck inserisce i personaggi in un ambiente familiare, la camera degli sposi.
    Molti elementi dell'ambientazione hanno un significato simbolico, a cominciare dalla camera che, con il letto nuziale e lo scranno sul fondo, si pone come luogo della sacra unione matrimoniale.
    Completamente accerchiati da simboli del matrimonio cristiano nascosti negli oggetti quotidiani, i coniugi Arnolfini si scambiano la promessa di fedeltà nella loro futura camera nuziale, un ambiente domestico raffinato e sofisticato nella resa pittorica che dichiara l'agiata condizione sociale dei personaggi.
    La scansione dei piani di profondità è segnalata dal mutare impercettibile delle tonalità, ed è governata dalla luce che entra dalla finestra, come la matematica governa lo spazio prospettico fiorentino.
    Lo specchio convesso amplifica l'interno come un obiettivo fish-eye, attirando nello spazio di illusione della pittura la realtà che sta all'esterno del dipinto, espandendo le possibilità della visione: sappiamo così che di fronte ai fidanzati ci sono due personaggi, forse in veste di testimoni, uno dei quali dovrebbe essere Van Eyck, come si intuisce anche dall'iscrizione sulla parete. Garanzia della veridicità dell'evento e anche garanzia della veridicità delle fattezze fisionomiche dei promessi sposi, tramandate così com'erano nell'attimo dipinto, ché domani il tempo le avrà già mutate: lui con quelle narici così larghe, l'ovale del viso troppo lungo, gli occhi globosi e senza ciglia, lei paffutella e acerba.
    Giovanni Arnolfini, a Bruges dal 1420, era un ricco mercante di stoffe lucchese e cavaliere di Filippo il Buono. L'alto rango è testimoniato dal pregiato mantello foderato di pelliccia e dal cappello a larghe falde indossato nelle occasioni solenni. Solleva la mano destra nel gesto del giuramento.
    Giovanna Cenami indossa un abito alla moda, guarnito di pelliccia e arricciature, molto amate dalle donne fiamminghe per ornare i veli. La mano sul ventre, messo in evidenza dall'arricciatura sotto il seno, non indica una gravidanza, ma è un gesto rituale, una promessa di fertilità. Lo sguardo è abbassato e umile per esprimere la sottomissione all'autorità del marito.
    Nel XV secolo, era consuetudine che gli sposi, prima di presentarsi al sacerdote, si scambiassero la promessa di matrimonio congiungendo tra loro le mani. Questo atto, insieme al giuramento dello sposo, aveva valore giuridico e necessitava di due testimoni: Ecco perché il dipinto fa riferimento al fidanzamento piuttosto che al matrimonio dei due giovani.
    Nell'ambito dei simboli collegati al matrimonio, lo specchio è lo speculum sine macula, lo specchio senza macchia che fa riferimento alla verginità di Maria, e dunque, per analogia, alla verginità della sposa, che doveva rimanere casta anche durante il matrimonio. Le dieci scene della Passione che lo incorniciano sono un esempio di cristiana sopportazione delle tribolazioni quotidiane.
    Il cagnolino in primo piano è simbolo dell'impegno nella fedeltà coniugale.
    Gli zoccoli posti in basso, nell'angolo a sinistra, indicano che i promessi sposi sono scalzi, perché il territorio del matrimonio è sacro come quello su cui si trovò Mosè quando Dio gli comandò: "Togliti i sandali dai piedi, poiché il luogo sul quale tu stai è una terra santa" (Esodo III, 5).
    Sul davanzale della finestra e sul mobile a sinistra sono disposte alcune arance. L'arancia ha nei paesi del Nord Europa lo stesso significato simbolico della mela, evocatrice del peccato originale. In questo contesto i frutti esortano a fuggire comportamenti peccaminosi e a vivere il matrimonio rispettando i comandamenti della fede.
    L'alcova scarlatta ricorda alcuni versi del Cantico dei Cantici.
    Il lampadario a sei bracci con una sola candela accesa è simbolo matrimoniale, motivo iconografico che deriva dalla candela nuziale che a volte compare nell'annunciazione.
    La verga appesa nello spigolo del mobile a destra è simbolo di verginità (gioco di parole Virgo-virga), ma nella tradizione popolare è anche la "verga di vita", simbolo di fertilità, con la quale lo sposo "batteva" simbolicamente la sposa perché il matrimonio fosse ricco di figli.
    L'iscrizione sopra lo specchio: Johannes De Eyck fuit Hic 1434, cioè "Jan Van Eyck fu qui", insieme alla data, non è solo la firma dell'artista e la datazione del quadro, ma ha valore di legale testimonianza nella cerimonia giuridica della promessa di matrimonio, come fosse un documento scritto.
    Al di là dei significati simbolici, l'opera è particolarmente affascinante per il virtuosismo tecnico nella rappresentazione dei particolari. Lo specchio ne è il momento culminante anche per la resa delle deformazioni delle immagini. Grazie alla sua convessità, esso riflette tutto ciò che vi è nella stanza, e perfino due persone che vi stanno entrando.
    Ma il quadro ha il suo alto valore pittorico anche nell'equilibrata disposizione dei protagonisti, armonicamente coordinati allo spazio e a ogni oggetto.
    Ogni cosa rappresentata è resa più solenne e immobile dalla luce fredda e diffusa che indugia sui dettagli.
    Sono elementi tipici della concezione pittorica fiamminga una certa rigidezza delle forme e l'espressione enigmatica che caratterizza i personaggi.
     
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    Jan van Eyck - Annunciazione

    1434-1436 - olio su tavola trasferito su tela - 92,7x36,7 cm - Washington, National Gallery of Art


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    Contrariamente al racconto evangelico, secondo cui l'arcangelo Gabriele sarebbe apparso alla Vergine nella sua stanza, Van Eyck ambienta l'"Annunciazione" all'interno di una cattedrale, descrivendo come di consueto l'architettura in maniera precisa, rifacendosi a modelli reali. Non si tratta però di una chiesa gotica , bensì di una costruzione in gran parte romanica, meno luminosa, dalla muratura più semplice e dagli archi superiori a tutto sesto; la spinta verticale delle pareti e l'inserimento di finestre ed archi timidamente ogivali, però, collocano piuttosto l'architettura nel momento di passaggio tra Romanico e Gotico.
    Tale scelta serve a circondare l'evento di una precisa cornice teologica; le scene raffigurate sul pavimento si riferiscono infatti a episodi del Vecchio Testamento che prefigurano la Passione di Cristo e il dipinto murale a destra della vetrata di fondo mostra Mosè nell'atto di ricevere da Dio le tavole della Legge. Van Eyck intende dunque contrapporre il Vecchio al Nuovo Testamento, di cui l'Annunciazione segna l'inizio, sottolineando per mezzo dei due stili architettonici il succedersi di due epoche diverse. L'angelo, vestito di un ricchissimo abito di broccato e avvolto in un manto altrettanto splendido, ulteriormente impreziosito da una bordura di gioielli, appare sorridendo alla Vergine e indicando il cielo, a segnalare che la sua missione è voluta da Dio. Pronuncia le parole "AVE GRATIA PLENA", inscritte in lettere dorate, mentre la Madonna, sollevando le mani in un gesto di stupore, risponde con la formula "ECCE ANCILLA DOMINI", scritta al contrario, ovvero diretta all'angelo, come già accadeva nel "Polittico dell'Agnello Mistico". Il dipinto fu portato a Parigi nel 1819 da Digione, la città ove si trova la Certosa di Champmol, luogo di sepoltura dei duchi di Borgogna, nella cui cappella, secondo una descrizione del 1791, si trovava un'Annunciazione: è dunque possibile che l'opera fosse stata eseguita da Jan per Filippo il Buono. Si tratta probabilmente dello sportello di sinistra di un trittico. L'opera viene conservata dalla National Gallery di Washington, alla quale fu donata da Andrew W. Melon che l'acquistò dall'Ermitage.
     
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    Jan van Eyck - Madonna del cancelliere Rolin

    1435 - olio su tavola - 66x62 cm - Parigi, Museo del Louvre


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    Questa tavola è una delle opere più originali realizzate da Jan van Eyck nella sua attività. Essa rappresenta il cancelliere della Borgogna Nicolas Rolin, inginocchiato davanti alla Madonna con il Bambino in braccio, mentre un piccolo angelo viene a porre una corona in testa alla Vergine.
    L’immagine è costruita partendo sempre dal classico cubo interno di una stanza, posta in prospettiva centrale (con la parete di fondo che giace parallela al piano del quadro). Ma la grande novità dell’immagine è proprio lo sfondamento della parete di fondo, sostituita da tre arcate, oltre le quali si vede uno stupendo paesaggio. Questo è uno dei primi esempi di vedutismo moderno, in quanto nel medioevo fu del tutto assente la pittura di paesaggio: bisogna risalire alle ultime pitture di età romano-ellenistica per rintracciare esempi analoghi di vedutismo.
    Qui lo sguardo del pittore coglie una profondità che è assolutamente straordinaria: oltre i tre archi vediamo prima un giardino chiuso da un recinto merlato, e oltre vediamo una città meravigliosamente costruita ai due lati di un fiume attraversato da un ponte a sei arcate. Oltre, si stendono i campi coltivati, e lo sguardo, seguendo le anse del fiume, giunge fino ad alcune montagne innevate che si sfumano in lontananza.
    Inutile dire che questa veduta, pur realizzata in dimensioni molto contenute (l’intera tavola misura appena 66x62 cm), è di un dettaglio straordinario, rappresentando finanche le persone che animano le strade della città. Da notare, ovviamente, che in questa tavola il paesaggio è utilizzato quale sfondo ad una storia che viene rappresentata in primo piano. Solo dal XVII secolo in poi la pittura di paesaggio divenne un genere autonomo, prima essa ebbe sempre un ruolo di complemento, con la funzione di arricchire i quadri nei quali i soggetti erano religiosi o storici.
    In questa tavola, straordinaria è anche l’attenzione posta alla luce, che qui appare in combinazioni più complesse rispetto al Ritratto dei coniugi Arnolfini. Gli archi, che si aprono di fronte a noi, ci creano una situazione chiaramente di controluce. Per evitare che le figure in primo piano rimanessero in ombra, l’artista ipotizza anche una luce frontale, la quale tuttavia non annulla l’effetto di controluce, che possiamo ancora percepire soprattutto sul pavimento.
    La prospettiva non è costruita in maniera impeccabile (si noti ad esempio la base della colonna del loggiato) e un ulteriore elemento di ambiguità è dato dalla sproporzione tra il cancelliere Rolin e la Madonna, con il primo che appare decisamente più grande rispetto al gruppo della Vergine con il Bambino. Ciò, tuttavia, non pregiudica la grande qualità di questo dipinto, costruito con impeccabile maestria.
     
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    Jan van Eyck - Ritratto del cardinale Niccolò Albergati

    1435 circa - olio su tavola - 34,1x27,3 cm - Vienna, Kunsthistorisches Museum


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    Niccolò Albergati fu un importante protagonista della politica pontificia sotto Martino V. Durante un congresso di pace ad Arras incontrò van Eyck, che lo ritrasse su un disegno dove erano appuntati anche note per la colorazione in previsione di effettuarne il ritratto, che venne concluso negli anni immediatamente successivi.
    Il prelato è ritratto di tre quarti, come consueto nella pittura fiamminga fin dagli anni trenta del XV secolo, su uno sfondo scuro che esalta al massimo l'effigie, posta invece in piena luce.
    Il contrasto luminoso è attenuato da una luce diffusa, che rischiara l'anziano cardinale i cui tratti sembrano suggerire un certo affaticamento psicologico. Nonostante i segni dell'età però l'anziano sembra emanare una calma bonaria, che sembra saper affrontare con solenne tranquillità gli affanni della sua esistenza.
    Come consueto nella opere di van Eyck una straordinaria attenzione è riservata ai dettagli, grazie alla particolare tecnica da lui affinata delle velature a strati successivi di colori macinati con legante ad olio, che permetteva effetti di straordinaria trasparenza e lucidità. Ciò si riscontra benissimo nella resa analitica delle rughe, nella finezza con cui sono trattati i capelli, nella resa materica della morbidezza della pesante stoffa del mantello e della pelliccia delle bordature.
     
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