Beato Angelico - Vita e Opere

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  1. @Ambra@
     
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    BEATO ANGELICO



    Guidolino di Pietro, domenicano col nome di frà Giovanni di Fiesole, noto anche come il Beato Angelico (Vicchio di Mugello 1400 ca - Roma 1455) è stato un pittore itliano.
    Poco si conosce della sua prima giovinezza, si formò probabilmente nella cerchia di Lorenzo Monaco ed entrò nella comunità dei domenicani di Fiesole verso il 1418.
    la sua visione appare già realizzata nelle prime opere in cui mostra di aver perfettamente assimilato il nuovo linguaggio figurativo fiorentino formato sugli esempi del Brunelleschi e di Masaccio, linguaggio che egli conciliò con la sua sensibilità cromatica e la sua predilizione, ispirata anche alle dottrine tomistiche, per colori puri e luminosissimi, che lo ricollegano al mondo tardo-gotico. Adottata la definizione prospettica dello spazio propria della visione rinascimentale, piuttosto come mezzo per ordinare figure e oggetti, anche in rapporto al loro significato spirituale, che come strumento di scansione geometrica, l'Angelico si volse a una definizione della forma più cromatica che plastica e volumetrica; ne è un esempio la Madonna della Stella, tavoletta con l'Annunciazione e l'Adorazione dei Magi (Museo di San Marco a Firenze).
    La luce di Masaccio che si irradia da una fonte determinata, accentuando il chiaroscuro e il risalto plastico delle figure e degli oggetti, viene trasformandosi in chiarore diffuso che favorisce il dispiegarsi trionfale del colore puro, luminoso, intensissimo. L'attività dell'Angelico non conobbe soste: all'Annunciazione del Museo del Gesù di Cortona (1430 circa), ambientata nella penombra di un chiostro brunelleschiano, seguirono, eccelse fra le numerose altre opere, il Tabernacolo dei Linaioli, commissionato dalla potente corporazione fiorentina nel 1433; le fastose Incoronazioni della Vergine (Louvre e Museo di San Marco), il polittico di Perugia (Galleria Nazionale); la Madonna in trono con angeli e santi (e storie dei santi Cosma e Damiano nella predella smembrata fra vari musei) e la Pietà (Museo di San Marco).
    Nel 1436 Michelozzo fu incaricato da Cosimo de' Medici di ampliare la chiesa e il convento di San Marco a Firenze (oggi trasformato in museo) come nuova sede dei monaci di Fiesole; pochi anni più tardi l'Angelico iniziò con aiuti, la decorazione ed affresco delle celle, dei corridoi, della sala capitolare e del primo chiostro. In tali opere, destinate a favorire la meditazione e il raccoglimento dei confratelli, il linguaggio del pittore, con l'abbandono di ogni particolare descrittivo e naturalistico, raggiunge quella estrema semplificazione delle forme descritta dai mistici come l'introduzione allo stato contemplativo: Crocifisso adorato da San Domenico (chiostro di sant' Antonino), Crocifissione (sala capitolare), Annunciazione, Noli me tangere, Trasfigurazione, Cristo schernito.
    Verso la fine del 1446 si recò a Roma, dove per il Papa Niccolò V affrescò in Vaticano con tono più solenne e impostando gli episodi su monumentali sfondi architettonici, scene della vita dei santi Stefano e Lorenzo (Cappella Niccolina). Nel 1447 si allontanò da Roma, per decorare con nuerosi aiuti, la volta della cappella di San Brizio nella cattedrale di Orvieto. Tornato a Fiesole venne eletto priore del convento di San Domenico nel 1449 e l'anno seguente dipinse con Gozzoli, Strozzi e Baldovinetti, gli sportelli per l'Armadio degli Argenti della chiesa della Santissima Annunziata (ora al Museo San Marco). Un secondo brevissimo soggiorno romano, venne interrotto dalla morte nel 1455.

    La Rousse Arte



    Edited by @Ambra@ - 2/5/2012, 15:15
     
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  2. @Ambra@
     
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    Incoronazione di Maria, 1430-32 ca - Parigi, Louvre
    Tavola, riquadro centrale 209 x 206 cm
    Predella 29,5 x 210 cm



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    Maria si inginocchia umilmente sui gradini davanti al sontuoso trono in pietra, per essere incoronata dal figlio regina dei cieli. Alla cerimonia assistono angeli e santi in gran numero. La pesantezza terrena dell'arichitettura viene alleviata dai colori delle pietre e degli abiti chiari, con molto oro.
    La tavola venne dipinta con un ampio ricorso ad aiuti, soprattutto nella parte destra: approssimativa è la resa, ad esempio, della ruota di santa Caterina, o vacue sono le espressioni di vari santi da questo lato. Le parti autografe dell'Angelico sono comunque di qualità altissima, come le figure di Cristo e della Vergine.
    Sulla predella sono raffigurate le scene dalla leggenda di San Domenico e al centro la Resurrezione di Cristo.
    Tutta la composizione dovette rappresentare un notevole sforzo inventivo per l'Angelico che, nel tentativo di superare i suoi modi tradizionali per essere all'altezza delle innovazioni attorno a lui, rinunciò al semicerchio di santi, usando un sistema prospettico più ardito, con un punto di osservazione più basso, in modo da non dover digradare le figure troppo nettamente sul piano orizzontale.
     
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    Beato Angelico Annunciazione di Cortona

    1430 ca. - tempera su tavola - 175x180 cm - Cortona, Museo diocesano



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    La tavola fu dipinta dall’Angelico fra il 1434 e il 1436 per essere collocata sopra l’altare maggiore della Chiesa di S.Domenico a Cortona; fu trasferita dove oggi si trova nel 1810. L’arte del pittore si mostra qui “angelica” perché rappresenta la più alta espressione dei valori spirituali, degli ideali umanistici e della novità di visione del reale portati dal Rinascimento con l’iniziale opera innovatrice di Brunelleschi e Masaccio, visti dall’Angelico in chiave religiosa e teologica. Accentuato è l’interesse per la scansione ritmica dello spazio e l’eleganza del porticato dove si svolge l’evento sacro, con un’architettura squisitamente primo-rinascimentale dalle linee purissime. Fa da splendida cornice il verde squillante di un giardino fiorito descritto con scrupolo botanico e assoluta precisione realistica e sullo sfondo Adamo ed Eva che se ne allontanano sofferenti. Le sette scene della Vita della Vergine che si susseguono senza soluzione di continuità nell’unica striscia della predella rappresentano un ulteriore motivo d’attrazione di questa opera affascinante.
     
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    Beato Angelico Tabernacolo dei Linaioli

    1432-1433 - tempera su tavola - 260x330 cm - Firenze, Museo nazionale di San Marco



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    Il tabernacolo aperto: All'interno: Madonna col Bambino, 233 x 133 cm. Nelle ante (all''interno da sinistra), San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, entrambe 292 x 88 cm



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    Il tabernacolo chiuso: San Marco e San Pietro (292 x 88 cm.)



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    Raffigurazione sinistra della predella: Predica di San Pietro alla presenza di San Marco, 39 x 56 cm.



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    Raffigurazione centrale della predella: Adorazione dei Magi, 39 x 56 cm.



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    Raffigurazione destra della predella: Il martirio di San Marco, 39 x 56 cm.



    Il volume presenta il restauro del Tabernacolo dei Linaioli del Beato Angelico. Il Tabernacolo dei Linaioli è un capolavoro della maturità artistica dell’Angelico, l’unica grande commissione pubblica pervenuta all’artista da un ambito non religioso. In quest’opera l’Angelico dà prova delle sue grandi capacità espressive: dalle raffinate tecniche esecutive, tra cui spicca l’uso straordinario della foglia d’oro, all’eleganza decorativa e spirituale che raggiunge l’apice nelle figure degli angeli musicanti, fino alla monumentalità plastica e tridimensionale, pienamente rinascimentale, del gruppo della Madonna col Bambino e dei quattro Santi, che dialoga alla pari con gli scultori del primo Quattrocento, come Lorenzo Ghiberti, Donatello e Nanni di Banco. Il Tabernacolo è composto da una monumentale cornice marmorea che contiene al suo interno la tavola dipinta dall’Angelico, suddivisa a sua volta in una pala centrale (alta 289 cm), dotata di un massiccio bordo strombato, due ante laterali e la predella. L’Arte dei Linaioli commissionò l’opera per la sede della corporazione, affidando prima il disegno del tabernacolo marmoreo a Lorenzo Ghiberti nel 1432 – realizzato da Jacopo di Bartolommeo da Settignano, Simone di Nanni da Fiesole e dal legnaiolo Jacopo di Piero detto il Papero – e successivamente la parte dipinta all’Angelico, in data 11 agosto 1433. Alla fine del Settecento, dopo la soppressione delle Arti, il Tabernacolo fu smembrato e trasferito prima alla Galleria degli Uffizi e successivamente nel Museo di San Marco dove è stato ricomposto nella sua interezza.
     
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    Beato Angelico Pala di Fiesole (Madonna in trono col Bambino, angeli e santi)

    1428-1430 - tempera su tavola - 212x237 cm - Fiesole, San Domenico



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    L'opera in esame fu realizzata per essere destinata – come trittico impreziosito da cuspidi, pilastri decorati e predella – all'altar maggiore della chiesa di San Domenico a Fiesole. Il complesso, così strutturato, nel 1501 fu sottoposto ad una radicale trasformazione ed impiegato come pala d'altare. I lavori di mutamento furono portati avanti da Lorenzo di Credi (Firenze, 1459 – 1537) che agì direttamente nella portante struttura del trittico, smontandola e ricongiungendo gli scomparti in un unico pezzo a cui vi aggiunse, nella parte alta, un pannello dipinto con tre archi a tutto sesto (i due laterali a cielo aperto con paesaggistica, mentre quello centrale con l'aggiunta di un baldacchino a completamento del trono della Madonna). I pilastrini rimasero dipinti come in origine, ma con il passar del tempo persero forza e furono via via sostituiti con ridipinture. La cornice fu completamente rinnovata. Le immagini dei santi, ancor oggi visibili nei pilastrini laterali – secondo Adolfo Venturi (Storia .... 1911) – furono realizzate da un seguace di Lorenzo Monaco, mentre quelle alla base degli stessi pilastrini – secondo Mario Salmi – furono addirittura dipinti da un pittore orcagnesco del Trecento.
    I tre scomparti, appartenenti alla predella che regge l'opera sul primo altare (prima cappella a sinistra) della chiesa di san Domenico, sono riproduzioni ottocentesche degli originali, che dal lontano 1860 furono trasferiti a Londra nella National Gallery. Altri dipinti, sono attualmente esposti nei vari Musei, ma vengono considerati come parti di secondaria importanza seppur appartenenti alla pala dell'Angelico, dai quali sembra siano state tolte le caratteristiche originali nel corso delle manomissioni di cui sopra accennato
    Per quanto riguarda l'autografia dell'Angelico, la critica ufficiale si è sempre espressa a favore, pur ammettendo probabili collaborazioni con altri artisti. La cronologia assegnata alla pala si aggira all'unanimità intorno al 1430.
    MADONNA CON IL BAMBINO, ANGELI E QUATTRO SANTI: La composizione in esame (quella della foto) appartiene alla tavola centrale. I santi vengono identificati, da sinistra in: Tommaso d'Aquino, Barnaba, Domenico e Pietro martire. Come sopra accennato, tali figure hanno subìto rifacimenti a causa degli sconvolgimenti strutturali subiti dal complesso originale. Anche gli sfondi che circondavano le figure non sono più gli stessi, e la prospettiva delle nuove architetture non riesce a rispettare le loro proporzioni, rendendo i santi fuori misura.



     
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    Beato Angelico Pietà (Deposizione)

    1443 - tempera su tavola - 38x46 cm - Monaco di Baviera, Alte Pinakothek



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    La pala di San Marco era destinata all'altare maggiore della chiesa di San Marco a Firenze, officiata dai domenicani del convento di cui faceva parte anche l'Angelico stesso. Il dipinto era solo uno dei tasselli della completa ristrutturazione e ridecorazione del convento offerta da Cosimo de' Medici e che ebbe come protagonista assoluto, per quanto riguarda la decorazione pittorica, l'Angelico. Il programma comprendeva oltre alla pala per l'altare maggiore, il celebre ciclo di affreschi, sia nelle aree comuni che nelle celle individuali, e una serie di codici miniati.
    L'altare maggiore della chiesa venne riscattato dai Medici nel 1438, per la somma considerevole di cinquecento ducati, e riconsacrato ai santi protettori della famiglia, Cosma e Damiano, che in vita erano stati appunto, secondo la leggenda, "medici". La vecchia pala d'altare, un'Incoronazione della Vergine del 1402, in stile tardogotico di Lorenzo di Niccolò, venne rimossa e donata, con un'istanza del Priore fra Cipriano datata 1438, alla chiesa di San Domenico di Cortona, dove si trovava una comunità domenicana gemellata con quella fiorentina e dove si recò personalmente l'Angelico per effettuare la consegna nel 1440 (nell'occasione venne inciso sulla cornice il nome dei Medici come donatori).
    La nuova pala venne quindi commissionata all'Angelico in un momento imprecisato, verosimilmente nel 1438 quando venne deciso di disfarsi di quella vecchia. La pala viene in genere datata entro il 1440, mentre i pannelli della predella forse vennero completati entro il 1443. Non vi sono ragioni per dubitare che venissero dipinti in una sequenza diversa da quella in cui si trovavano.
    Con le soppressioni tra XVIII e XIX secolo la pala venne rimossa smembrata e parzialmente dispersa. I pannelli della predella sono oggi in parte a Firenze e in parte in altri musei internazionali. Se la pala venne sottoposta a un restauro disastroso, in un'epoca imprecisata tra XVIII e XIX secolo, i pannelli della predella furono risparmiati ed oggi sono generalmente in condizioni ottime o molto buone, tranne il pannello di Washington che è più danneggiato.
    La scena della Pietà o Deposizione si svolge davanti alla grotta del sepolcro di Cristo, dove Nicodemo sta trascinando il corpo di Cristo, anatomicamente reso con efficacia e con le gambe in scorcio. Ai lati le due figure dolenti di Maria e di san Giovanni Evangelista reggono e baciano oppure bagnano con le lacrime le mani che Cristo, che si trova così nella posizione che ricorda la crocefissione. Notevole è l'attenzione al paesaggio ed alla natura, sia nella resa del manto erboso ricco di fiori ed erbette, sia nel bosco che spunta ai lati, sia nel cielo. A sinistra si vede una palma stilizzata, simbolo di martirio.
    John Pope-Hennessy descrisse la scena come "un'incomparabile combinazione di logica e sentimento"[1]. Il vuoto rettangolare della tomba aperta fa stagliare il corpo di Cristo, mentre il sudario, in basso, crea un rettangolo in scorcio, dove le pieghe del sudario e la delicata ombra del Cristo raggiungono un nuovo vertice di raffinato realismo.
    Anche in questo caso la luce, diafana e cristallina, ha un ruolo unificatore in tutti gli elementi della scena e tramite il chiaroscuro permette una forte definizione plastica dei volumi. Essa proviene da destra, come negli altri pannelli, ma arriva da un livello più basso, in modo da illuminare alla perfezione il torso e la superficie superiore dei palmi delle mani.
    La composizione venne copiata negli anni 1450 da Rogier van der Weyden, nella Deposizione oggi agli Uffizi.
     
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    Beato Angelico Crocifissione del chiostro di San Marco

    1442 ca. - affresco - 340x155 cm - Firenze, Museo nazionale di San Marco



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    L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla stesura di codici miniati per il convento stesso.
    Nel chiostro l'Angelico dipinse cinque lunette (una è oggi staccata e conservata nella sala del lavabo) e il grande Crocifisso, che si ispirava a uno analogo dipinto qualche anno prima per San Domenico di Fiesole ed oggi conservato al Louvre. Gli studiosi sono in genere concordi nell'attribuire l'autografia dell'Angelico a tutti gli affreschi del piano terra del convento.
    Durante la ridecorazione del chiostro a cavallo tra XVI e XVII secolo, l'affresco venne affiancato da due figure dei Dolenti (Maria e san Giovanni). In un periodo imprecisato nel XVII secolo l'affresco venne ritagliato ai lati per adattarlo a una cornice barocca che ancora oggi si vede.
    Il grande affresco è il primo che si vede, oggi come allora, dirimpetto all'entrata. La figura di Cristo troneggia su un'alta croce su uno sfondo arido e deserto, composto da un semplice terreno e un cielo genericamente azzurro. Il Cristo è dipinto con un forte chiaroscuro che ne accentua la massa plastica, in conformità allo stile di Masaccio del quale l'Angelico fu uno dei primi continuatori. Ai piedi della croce sta inginocchiato san Domenico che la abbraccia, fondatore dell'Ordine Domenicano nel cui esempio si dovevano immedesimare i frati del convento. In questo senso la meditazione dei frati doveva essere quindi impostata a una mistica e umile compartecipazione ai dolori di Cristo. Per ottenere questo scopo l'affresco, come gli altri del convento, è scevro da dettagli decorativi superflui e impostato alla massima essenzialità. Unica concessione alla decorazione pare essere il dettaglio del perizoma svolazzante di Cristo, assente nel Crocifisso di Parigi.
    Il santo è di profilo e guarda la Croce, anche se ha un rapporto meno esplicito ed emotivo dell'affresco del Louvre. La sua figura è ben modellata nel volume e si colloca con verosimiglianza nello spazio.
     
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  8. @Ambra@
     
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    Noli me tangere - Firenze, Convento di San Marco
    Affresco - 177 x 139 cm

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    L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.


    Il Noli me tangere si trova nella cella 1 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.
    La scena è stata composta in maniera simile alla vicina Annunciazione della cella 3, con due figure pressoché immobili e uno sfondo che se anche apparentemente è più ricco e vario (la grotta, il prato fiorito, gli alberi), nella sostanza è appiattito dalla fascia orizzontale dell'incannicciata, che isola le figure ed evita qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. Non a caso i toni giallo-ocra della palizzata si intonano con quello della testa del Cristo, isolandola e mettendola in assoluta evidenza.
    I corpi della Maddalena e del Cristo sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una forte sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale così solida per la donna e così eterea per il Cristo soprannaturale.
    Si tratta dell'unico degli affreschi delle celle di San Marco a dimostrare un diffuso interesse per la natura, con una resa minuta delle specie del prato. Tra gli alberi spicca al centro la palma, simbolo del martirio.
     
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    Beato Angelico - Cristo coronato di spine

    data incerta - tempera su tavola - 55x39 cm - Livorno, Duomo di Livorno


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    Il Cristo incoronato di spine (tempera e oro Su tavola. cm 55 x 39) del Beato Angelico è giunto alla Parrocchia di S. Maria del Soccorso per donazione di Silvestro Silvestri due anni dopo l’inizio dei lavori di costruzione della chiesa (1837).
    Tutta la critica più recente è concorde nel considerare il dipinto come opera autografa del Beato Angelico (Vicchio di Mugello 1400 Ca. — Roma 1455) e nei datano attorno al 1450 (De Marchi, 990) per le affinità, stilistiche con la Pala di Bosco ai Frati, certamente databile tra il 1450 ed il 1452, conservata nel Museo di San Marco a Firenze.
    Fino al 1928 la tavola è rimasta ignota a tutti i conoscitori dell’Angelico e del Quattrocento fiorentino, sebbene il Piombanti, nella sua Guida storica ed artistica della città e dei dintorni di Livorno (1904), l’avesse menzionati, come appartenente alla Scuola di Giotto, e sebbene il Vigo (Livorno, 1915), respingendo il generico accostamento a Giotto, ne parlasse come di un’opera della fine del sec. XIV.
    Fu Roberto Longhi (Un dipinto dell‘Angelico a Livorno, in Pinacotheca”, 3, nov-dic., 1928) che, “in una fortunata ricognizione” alla Chiesa di S. Maria, del Soccorso di Livorno, per primo attribuì il dipinto al Beato Angelico ed avanzò una possibile datazione fra il 1430 ed il 1435, accostandolo ad una delle opere più note del periodo giovanile dell’artista il Tabernacolo dei Lanaioli (1433)
     
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