Pietro Cavallini - Vita e Opere

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    PIETRO CAVALLINI



    Pietro Cavallini (Roma, circa 1240 – circa 1330) è stato un pittore italiano, tra i più importanti esponenti della scuola romana del XIII secolo.
    Grandissima personalità d'artista dominò l'ambiente pittorico romanico del periodo. Appartenente all'antica famiglia romana dei Cerroni, dai contemporanei il soprannome di Cavallino, coi quali anche si firmò.

    Tra il 1270 e il 1279 affrescò nell'interno della basilica di San Pietro fuori le mura, Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento, distrutte dall'incendio del 1823; il Ghiberti e il Vasari gli hanno attribuito anche i mosaici della facciata, irremediabilmente danneggiati nel medesimo incendio. In quell'occasione lavorava a San Paolo anche il fiorentino Arnolfo di Cambio, autore del ciborio (1285). Il lavoro si protrasse dal 1277 al 1285, ma questo ciclo è scomparso completamente con l'incendio che nel 1823 distrusse quasi completamente la chiesa. Ne restano solo alcune copie a disegno che però non permettono di capire se all'epoca il pittore avesse già padronanza degli stilemi dell'arte gotica.

    Nel 1291 firmò i sette mosaici della fascia sottostante il semicatino absidale di Santa Maria in Trastevere con Scene della vita della Vergine. Gli schemi iconografici corrispondono a quelli delle contemporanee figurazioni neoellenistiche bizantine, ma le immagini trovano naturale posto in spazi armoniosamente costruiti; modellati da sapienti accordi di colori smaltati, esprimono un sentimento contenuto e grave, e i ricordi ellenistici sono trascesi dall'umanità del nuovo linguaggio pittorico. Questa opera mostra appieno le capacità tecniche di Cavallini che rompeva con le forme ieratiche bizantine e adattava i modelli stilistici dei suoi mosaici alle novità che provenivano dalla pittura e dalla scultura toscane, affiancando la scuola romana al clima gotico della pittura di Cimabue e alle prime esperienze di Giotto.
    La nuova sensibilità si può vedere nelle citazioni naturalistiche della Nascita di Gesù, ma meglio ancora nella tridimensionalità del trono che appare dietro la Madonna spaventata dall'improvvisa apparizione dell'Arcangelo annunciante. Queste architetture sono state messe in relazione con le opere di Giotto, ma in questo confronto Cavallini si dimostra diverso: le sue quinte architettoniche infatti sono dei semplici sfondi irreali, che, tranne rari casi (l'altare della Presentazione al tempio o il trono di Maria) non dialogano con i personaggi, che anzi sono decisamente sproporzionati. Inoltre la presenza di punti di vista diversi dà a queste prospettive intuitive un aspetto arcaico e impreciso.

    Nel 1293 Cavallini dipinse a encausto le pareti laterali della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere (ne restano poche tracce) e la parete di controfacciata col Giudizio Universale. Le statuarie e solenni figure del Cristo e degli apostoli, cariche di spiritualità, illuminate da un sereno senso di pace, sono l'espressione di una sintesi formale perfetta.
    In seguito storici dell'arte come Federico Zeri e Bruno Zanardi hanno attribuito gli affreschi con Storie della vita di san Francesco almeno a tre mani di maestri, tra i quali il principale sarebbe stato lo stesso Cavallini (a giudicare da alcune riferimenti indiretti e soprattutto dalla modalità della stesura degli incarnati, molto più vicina alle opere di Cavallini che a quelle giottesche), seguito dal Rusuti e da un giovane Giotto.

    Tra il 1316 e il 1320 il vecchio maestro lavorò in Santa Maria Donna Regina a Napoli, in parte aiutato da collaboratori sensibili alle suggestioni di Simone Martini, presente a Napoli proprio in quegli anni. Ma tutte sue sono le figure di Profeti e Apostoli sulle pareti più vicine al presbiterio, maestosi come antiche statue.
    Tornò a Roma sicuramente prima del 1325, nel 1321 iniziò la decorazione esterna della Basilica di San Paolo fuori le mura, eseguì un ciclo di mosaici secondo la tecnica bizantina che andrà ancora distrutto nell' incendio dell'Ottocento e questa fu l'ultima sua grande opera che probabilmente coincise con il periodo della sua morte.

    La Rousse Arte



    Edited by @Ambra@ - 2/4/2012, 15:37
     
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    Pietro Cavallini Storie della vita della Vergine

    1291 - Mosaici - S. Maria in Trastevere, Roma

    Nascita della Vergine
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    Annunciazione
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    Natività
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    Adorazione dei Magi
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    Presentazione al Tempio
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    Morte della Vergine
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    I mosaici di S. Maria in Trastevere furono commissionati a Pietro Cavallini nel 1291 dal cardinale Bertoldo Stefaneschi. Il ciclo si compone di sei scene, in altrettanti riquadri, che rappresentano episodi della vita di Maria: la Nascita della Vergine, l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Morte della Vergine. In queste scene domina ancora uno sfondo dorato che è di chiara derivazione bizantina. Tuttavia le scene hanno tutt’altra impostazione, rispetto allo stile bizantino, una impostazione che sembra quasi rimandare ad un recupero della tradizione paleocristiana. Da non dimenticare che Roma, al tempo, conservava interessanti esempi pittorici e musivi (quali i mosaici di Santa Pudenziana) che potevano fornire spunti interessanti ai pittori che volevano cercare un’arte diversa da quella bizantina. Così come stava avvenendo nella scultura di Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio, anche per i pittori romani l’antico forniva esempi e modelli per superare l’immobilità dell’arte bizantina.
    Così, in questi mosaici si ritrova un qualcosa di inaspettatamente antico, ma che tuttavia va visto come l’anello di congiunzione tra memoria del passato e nascita del nuovo linguaggio pittorico italiano. I mosaici di Pietro Cavallini sono, in pratica, i primi esempi di una nuova sensibilità pittorica che viene a maturare negli ultimi due decenni del XIII secolo. I parametri più importanti di questa nuova pittura sono il recupero della tridimensionalità. E su questo aspetto i mosaici di Pietro Cavallini presentano alcune importanti premesse per la pittura successiva: l’uso consapevole del chiaroscuro, per dare risalto alla volumetria delle figure, e la costruzione in assonometria degli elementi architettonici che entrano nelle scene. La costruzione assonometrica appare ancora incerta, così come sarà incerta in molta pittura del Trecento, frutto più di una intuizione superficiale che di una reale razionalità delle forme.


    Edited by Albrecht - 18/9/2012, 15:17
     
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    Pietro Cavallini Giudizio Universale

    1293 - Affresco - S. Cecilia in Trastevere, Roma



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    Nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere Pietro Cavallini intervenne intorno al 1293, con un ciclo decorativo che rivestiva l’intera navata centrale. Distrutta la maggior parte di questi affreschi, agli inizi del Novecento sono stati parzialmente recuperati solo quelli della controfacciata, dopo la rimozione degli stalli del coretto. Su questa controfacciata, così come era tradizione nel XIII-XIV secolo, era stata dipinta da Pietro Cavallini il Giudizio Universale.
    La maggior parte delle opere di Cavallini sono andate distrutte, quindi la parziale conoscenza della sua arte ha spesso condizionato una reale comprensione della sua evoluzione artistica. L’unico altro esempio a noi noto della sua arte sono i mosaici di Santa Maria in Trastevere e, rispetto a questi, gli affreschi in S. Cecilia appaiono decisamente più evoluti. Secondo alcuni è stata l’esperienza condotta ad Assisi, e quindi il contatto con Giotto, a determinare la maggiore modernità di questi affreschi. Tuttavia, rimessa in discussione la presenza di Giotto ad Assisi per la realizzazione del ciclo della Basilica superiore, appare sempre più certa che l’evoluzione stilistica vada cercata nel percorso stesso di Pietro Cavallini.
    In questi affreschi il volto di Gesù appare costruito secondo la classica costruzione frontale di derivazione bizantina. Fin qui, quindi, nulla di nuovo. Ma le figure di santi seduti ai lati hanno una solidità volumetrica decisamente inedita. L’uso del chiaroscuro appare controllato in maniera già matura, e la solidità delle figure è quella che poi troveremo in tutta la pittura italiana successiva. In pratica è proprio il chiaroscuro che diviene, in questo preciso momento storico, la cifra stilistica che affranca l’arte italiana da quella bizantina, che al chiaroscuro preferiva ancora le lumeggiature dorate.

    Edited by Albrecht - 18/9/2012, 15:21
     
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